Cimbri: «Italia come il Ponte Morandi Serve una ricostruzione rapida»
“La situazione straordinaria richiede a tutti di procedere in modo nuovo. È il tempo del pragmatismo, non di ragionare per indici, parametri, teorie. E questo vale sia per gli Stati sia per le imprese, in primo luogo quelle finanziarie”Carlo Cimbri è amministratore delegato di Unipol e presidente della controllata UnipolSai, la prima compagnia di assicurazioni danni italiana. Il gruppo ha deliberato nei giorni scorsi una donazione di 20 milioni per far fronte all’emergenza sanitaria del coronavirus, fondi che saranno impiegati per acquistare attrezzature e contribuire a realizzare nuove strutture ospedaliere, anzitutto nelle zone più colpite: Lombardia ed Emilia Romagna. «Nel più breve tempo possibile: il che significa senza che la burocrazia crei ostacoli e rallenti i lavori».
Da top manager finanziario quale ritiene sia il problema economico principale oggi?
«In questo momento la dotazione di liquidità. È necessario irrorare il sistema di liquidità. Il blocco, inevitabile, della mobilità di persone e merci scatena un drastico stop ai consumi. Imprese e commercio non incassano ma devono pagare, sostenere costi, versare gli stipendi
Bce e Ue stanno facendo abbastanza?
«Dopo alcuni tentennamenti mi sembra si vada nella giusta direzione. L’Europa ha capito che la crisi sanitaria non è un problema solo italiano, come poteva sembrare inizialmente. Riguarda tutti. E che è necessario inondare il sistema di liquidità. Quindi ha proceduto con il “Whatever it takes” in modo nuovo: oltre a lanciare uno straordinario quantitative easing, ha deliberato la sospensione del Patto di stabilità. Decisioni storiche, ma guardi che ciascuno, nel proprio perimetro e territorio, ha dovuto procedere in questo modo. Compresi noi».
Cioè?
«Abbiamo una rete di 3 mila agenzie con 10 mila punti vendita: tutti piccoli imprenditori che vivono sugli incassi da cui ricavano le provvigioni. Ma ora premi e dunque provvigioni hanno registrato un calo e loro non hanno flussi sufficienti per sostenere i costi. Lunedì 23 marzo presenteremo agli agenti un programma di sostegno finanziario a tasso zero con tempi di rientro che partiranno dal prossimo anno e che consentirà loro di superare le presenti difficoltà».
Quanto stanzierete?
«Noi integreremo i flussi che dovessero mancare dalle provvigioni. Nell’ipotesi, solo teorica, che la produzione dovesse azzerarsi, si tratterebbe di circa 100 milioni al mese».
Quando si potrà intravedere una ripresa? E come?
«Non sappiamo quanto durerà la situazione, e abbiamo una sola certezza: per la ripresa saranno necessari straordinari e massicci investimenti pubblici. I governi, nessuno escluso, devono e dovranno usare i propri bilanci. Nessuno però regala i soldi: ciò significa che aumenterà il debito pubblico e gli Stati dovranno emettere bond che qualcuno dovrà sottoscrivere».
A chi si riferisce?
«Un ruolo chiave lo avranno le istituzioni finanziarie, cioè in primo luogo noi, assicurazioni e banche. E poiché sarà un problema generale, non limitato a un solo Paese, ciascuna nazione dovrà farà conto in primo luogo sul proprio settore finanziario. Saremo chiamati a sottoscrivere titoli di debito pubblico ma non solo: sarà necessario anche sostenere le imprese industriali e dell’energia private e di Stato, con liquidità e con interventi su equity e bond».
Ma banche e assicurazioni ce la faranno?
«Ecco la necessità del pragmatismo: occorre flessibilità su indici e parametri di vigilanza. È importante che i meccanismi regolatori non ci penalizzino frustrando la possibilità di sostenere l’economia. Le banche non falliscono per Npl, i crediti deteriorati, ma se non hanno liquidità. E le compagnie non falliscono perché i titoli che hanno in pancia sono valutati a fair value, ma quando gli impegni verso gli assicurati hanno orizzonti temporali e quindi scadenze non allineate rispetto a quelle degli asset».
A proposito di fair value: i valori in Borsa sono crollati.
«Paura e incertezza producono movimenti irrazionali: i crolli hanno portato gli asset, non solo da noi, a valori che non rappresentano quelli reali». Però ciò comporta, da noi forse più che altrove, il rischio che le imprese diventino preda. «Certo, a questi valori anche noi potremmo immaginare di cogliere opportunità sul mercato, cosa che tuttavia non intendiamo fare. Si figuri colossi internazionali che dispongono di ingenti risorse se non guardano anche alla realtà italiana, la più penalizzata per il momento».
Il governo metterà in campo misure per impedire che l’Italia, in particolare quella quotata, diventi preda.
«È necessaria oggi una tutela pubblica, una specie di golden power, per i nostri asset più strategici. Ritengo che la prima cosa necessaria sia una loro individuazione: diversamente, estendere l’iniziativa a tutte le società quotate in Borsa significherebbe negare il mercato».
Quali potrebbero essere i settori strategici?
«L’industria della difesa…»
…dove le società valgono ora meno delle commesse.
«Esatto, e poi energia, trasporti, telecomunicazioni, infrastrutture, risparmio, finanza. In tempi come questi è indispensabile salvaguardare la nazionalità di alcune produzioni e di alcuni servizi. Le faccio un esempio di casa nostra: quando ancora in Italia il virus era nella prima fase del contagio, verso fine febbraio, abbiamo acquistato all’estero alcuni ventilatori e respiratori artificiali. Ieri mi hanno comunicato che la consegna è stata bloccata per necessità nazionali».
Ma così non si rischia di fare ulteriori passi indietro in Europa?
«Direi piuttosto che l’Europa è a un bivio: o si va verso gli Stati Uniti d’Europa o questa Europa serve poco a tutti».
Tutele governative a parte, sono necessari consolidamenti?
«Noi abbiamo proceduto con la fusione con Fondiaria-Sai e ora partecipiamo all’operazione Intesa-Ubi e Bper, come potrei risponderle di no?»
La prima cosa da fare in Italia perché possa ripartire?
«Un piano assimilabile alla ricostruzione del Ponte Morandi, con un iter svincolato da burocrazia eccessiva. Per riconquistare una produttività perduta da tempo».
Fonte: corriere della sera
Autore Sergio Bocconi