Contrassegno si contrassegno no?

In caso di controllo delle Forze dell’Ordine il conducente deve esibire copia del certificato assicurativo ma può farlo in diversi modi sia in versione cartacea sia in forma digitale. In caso di mancata esibizione la multa supera le 800 euro.

Tutti sanno che per circolare sulle strade pubbliche in regola con l’auto è necessario sottoscrivere la polizza Rc, attivando la copertura assicurativa e non avere sorprese in un normale controllo di routine delle Forze dell’Ordine. La legge è chiara e impone, a chi circola con veicoli a motore sulle strade pubbliche, di sottoscrivere una polizza auto, un contratto in grado di offrire un’adeguata copertura al proprietario e al conducente laddove si parla di responsabilità per eventuali danni causati a terzi.

COSA E’ OBBLIGATORIO ESIBIRE Visto che tempo le assicurazioni non forniscono neanche più il tagliando cartaceo assicurativo (è stato abolito nel 2015) cosa è obbligatorio esibire ad un controllo su strada nel caso in cui si è fermati? Solitamente le Forze dell’Ordine sono in grado di collegarsi telematicamente alla banca dati del Ministero dal quale controllare l’effettiva copertura della polizza assicurativa. Quando questo non è possibile le F.d.O. possono richiedere copia del certificato assicurativo: in caso di richiesta di esibire il certificato di assicurazione Rc auto, è possibile rispondere mostrando sia il documento in formato cartaceo o anche quello in formato digitale.

Attenzione, non è solo importante che la posizione assicurativa sia attiva sull’auto ma al conducente della vettura, in alcuni casi, può essere richiesto di esibire il certificato assicurativo valido e può farlo anche con un cellulare mostrando la versione digitale del PDF che l’assicurazione invia all’intestatario della polizza.

Multa fino a 867€ per mancata esibizione certificato assicurativo

MULTA Se a bordo dell’auto non abbiamo questo certificato assicurativo può scattare la sanzione, con la contestazione per violazione dell’articolo 180 CDS c.1 e c.7, ovverto per non aver esibito copia del contratto assicurativo valido (mancanza momentanea di documenti): si è passibili di una multa di 85,50€, sanzione che diventa 42€ in misura ridotta se pagata entro i 60 gg ed ulteriore riduzione del 30% se pagata entro i 5 gg a 29,40.

Il documento va comunque esibito successivamente entro max 30 giorni altrimenti scatta una seconda sanzione ben più pesante per violazione CDS art. 180 c8: 867,00€ per inottemperanza all’invito di presentare documenti o fornire informazioni (diventano 301,70 se pagata entro 5 gg e 431€ entro i 60 gg).

CONSIGLIO Se sei arrivato qui in fondo avrai capito che puoi mostrare la validità della polizza auto anche dal tuo cellulare per non essere multato. Ricorda anche che potresti trovarti in una situazione di cellulare scarico o rete dati non disponibile nella zona del controllo per cui una bella stampata della ricevuta del pagamento e contratto dell’assicurazione che attesta la validità è sempre consigliato: carta canta!

Nessuna multa anche per chi esibisce una stampa non originale del certificato, lo conferma la sentenza del Giudice di Pace

In caso di controlli da parte delle forze dell’ordine chi mostra la polizza Rc auto direttamente dal cellulare, grazie al certificato digitalizzato, non è passibile di alcuna multa.

A stabilirlo sono i dettagli contenuti nella sentenza n. 168/2018, emessa dal Giudice di Pace di Pontremoli, che per primo si è pronunciato considerando un tema così specifico a fronte di un ricorso. Galeotta fu una sanzione comminata dai Carabinieri, che imputarono ad un conducente la violazione dell’art. 180, commi 1 lettera D e 7 lettera 10, del Codice della Strada, in quanto lo stesso fu fermato a bordo della sua auto “sprovvisto del prescritto certificato di assicurazione obbligatoria RCA”.

Per dimostrare d’essere in regola con la sottoscrizione della polizza auto, il conducente si offrì di mostrare la copia digitale del certificato assicurativo direttamente dal proprio smartphone. A nulla valse la proposta, che le forze dell’ordine non considerarono scegliendo di redigere il verbale e sanzionare il malcapitato.

Decidendo di contestare l’ordinanza d’ingiunzione della Prefettura il conducente passo alle vie di fatto appellandosi al Giudice di Pace. Giudice che accolse l’istanza del conducente a fronte della circolare del Ministero dell’Interno – Direzione Centrale per la Polizia Stradale (Prot. n. 300/A/5931/16/106/15) del 1 settembre 2016, che ritiene lecito esibire in caso di controllo da parte delle autorità anche un certificato in formato digitale, oppure una stampa non originale del formato digitale.

SETTORE TESSILE:Copertura assicurativa D&O ( Directors & Officers )

Desideriamo fare un po’ di luce su una copertura assicurativa sempre più spesso nominata ma ancora troppo poco conosciuta nei suoi meccanismi operativi.

La cosiddetta D&O , si affaccia sul mercato nel momento in cui viene sentita l’esigenza da parte delle Società di Capitali di “proteggere” per danni patrimoniali a terzi i propri organi dirigenziali . A tale domanda ha fatto seguito un’offerta da parte delle Compagnie di Assicurazione soprattutto Americane o comunque con mentalità anglosassone che hanno predisposto una polizza ad hoc per la tutela di tale rischio aziendale .

Tutto nasce dall’attuazione della delega di cui all’art. 11 della Legge 29 settembre 2000 n. 300; in data 8 giugno 2001 è stato emanato il Decreto legislativo n. 231, con il quale il Legislatore ha adeguato la normativa interna alle convenzioni internazionali in materia di responsabilità delle persone giuridiche. Il Decreto, relativo alla “Disciplina della responsabilità amministrativa delle persone giuridiche, delle società e delle associazioni anche prive di personalità giuridica”, ha introdotto nell’ordinamento giuridico italiano un regime di “responsabilità degli Enti  – ( da intendersi come società, associazioni, consorzi, ecc., ; restano esclusi da tale responsabilità lo Stato, gli enti pubblici territoriali, gli altri enti pubblici non economici nonché gli enti che svolgono funzioni di rilievo costituzionale ) – per gli illeciti amministrativi dipendenti da reato”.  Ai sensi dell’art. 5 del Decreto, pertanto , gli Enti sono responsabili per i reati commessi nel loro interesse o a loro vantaggio: da persone fisiche che rivestano funzioni di rappresentanza di amministrazione o di direzione degli Enti stessi o di una loro unità organizzativa dotata di autonomia finanziaria e funzionale, nonché da persone fisiche che esercitino, anche di fatto, la gestione e il controllo degli Enti medesimi , oppure da persone fisiche sottoposte alla direzione o alla vigilanza dei soggetti apicali . Occorre precisare che la responsabilità dell’Ente si aggiunge a quella penale della persona  fisica  che ha commesso il reato-presupposto. Affinché si realizzi la fattispecie prevista dal D.Lgs 231/2001 devono sussistere contemporaneamente i seguenti elementi: i soggetti collettivi coinvolti devono essere individuati tra quelli indicati nell’art. 1 del Decreto; il reato-presupposto deve essere commesso nell’interesse o a vantaggio dell’ente;  l’autore del reato-presupposto deve avere una relazione qualificata con l’ente, come previsto nell’art. 5 del D.Lgs 231/2001 .

Circa le Sanzioni . Il sistema sanzionatorio è costituito da sanzioni pecuniarie che vengono determinate con il sistema delle quote previsto dall’art. 11 del  Decreto ( le quote possono variare da un minimo di 100 ad un massimo di 1.000 ed il valore di ogni quota può variare da un minimo di Euro 250,23 ad un massimo di Euro 1.549,37) oppure da sanzioni interdittive oppure da confisca .

Va evidenziato che l’intervento del legislatore non è soltanto quello di prevedere una responsabilità diretta per gli Enti, ma anche e soprattutto quello di indurli a dotarsi di una effettiva governance che sia efficace contro i reati , principio che viene assolto attraverso l’adozione del Modello di Organizzazione e Gestione. 

L’adozione del Modello dovrebbe quindi rispondere allo scopo primario di prevenire il compimento dei reati oltre, ovviamente, a quello di ottenere l’esonero da responsabilità per l’ente, nel caso in cui fossero stati commessi reati-presupposto.

L’organo amministrativo/gestorio è tenuto a definire le linee di indirizzo del sistema di controllo interno affinché i principali rischi siano correttamente identificati ed adeguatamente misurati, gestiti e monitorati, determinando i criteri di compatibilità di tali rischi con una sana e corretta gestione dell’impresa.Solo in presenza dell’individuazione di linee di responsabilità chiare e precise, presupposto della organizzazione interna dell’impresa, l’assetto può definirsi adeguato. In sintesi, pertanto , il Modello, per essere considerato idoneo, deve evidenziare gli esiti dell’analisi dei rischi, in modo tale da individuare le attività dell’ente che possano dare origine alla commissione dei reati-presupposto; indicare le misure di prevenzione  riguardanti le modalità di svolgimento dell’attività e controllo, che devono essere svolte dall’Organo di Vigilanza ; prevedere obblighi di informazione ed un sistema disciplinare in grado di sanzionare il mancato rispetto delle misure organizzative e delle procedure interne; prevedere l’attività di aggiornamento.

L’organo amministrativo , inoltre , è tenuto a definire le linee di indirizzo del sistema di controllo interno affinché i principali rischi siano correttamente identificati nonché adeguatamente misurati, gestiti e monitorati, determinando i criteri di compatibilità di tali rischi con una sana e corretta gestione dell’impresa , in sintesi la mapping risk che deve prevedere il RISCHIO ESTERNO ( quello cioè provocato da eventi esogeni all’azienda ) , il RISCHIO INTERNO che dipende da fattori endogeni , il RISCHIO INERENTE e cioè quello  ipotizzabile in assenza di qualsiasi attività di controllo della gestione del rischio stesso ed infine il RISCHIO RESIDUO che è il rischio che rimane in capo all’impresa successivamente alla messa in atto delle azioni mitigatrici. Per concludere l’argomento Modello di Organizzazione ex D.Lgs 231/2001 , possiamo definire un Modello efficace ed efficiente come  processo di risk management consistente nel monitoraggio continuo dei rischi aziendali relativi all’attività svolta in correlazione con l’efficace attuazione dei protocolli previsti dal Modello. La mancata osservanza di tutto quanto stabilito dalla Legge , presuppone dei PROFILI PENALI DELLA RESPONSABILITÀ in capo all’Organo di Vigilanza preposto . Fermo restando il generale dovere di vigilanza sull’attuazione e sul funzionamento del Modello dell’Organismo e l’impossibilità per l’ente di beneficiare dell’esonero dalla responsabilità nel caso in cui sia stata omessa tale specifica vigilanza da parte dello stesso Organismo, sembra opportuno effettuare alcune considerazioni relative all’eventuale insorgere di una responsabilità penale in capo all’Organismo di Vigilanza in caso di commissione di illeciti da parte dell’Ente a seguito del mancato esercizio del potere di vigilanza. La fonte di detta responsabilità potrebbe essere individuata nell’art. 40, co. 2, cod. penale e, dunque, nel principio in base al quale ‘non impedire un evento, che si ha l’obbligo giuridico di impedire, equivale a cagionarlo’. Sulla base di questa impostazione, l’Organismo di Vigilanza potrebbe risultare punibile a titolo di concorso omissivo nei reati-presupposto commessi dai soggetti di cui all’art. 5, lett. a e b. del D.Lgs 231/2001 nell’interesse o a vantaggio dell’ente, a seguito del mancato esercizio del potere di controllo sull’agire ‘illecito’ di detti soggetti. Al riguardo, però, è opportuno tenere presente che l’obbligo di vigilanza sull’attuazione e sul funzionamento del Modello – obbligo appunto incombente sull’Organismo di Vigilanza – non comporta di per sé l’obbligo di impedire il reato-presupposto: esso, con la responsabilità penale che ne deriva ai sensi del citato art. 40, co. 2, cod. penale, sussiste solo quando il destinatario è posto nella posizione di garante del bene giuridico protetto. Dalla lettura complessiva delle disposizioni che disciplinano l’attività e gli obblighi dell’Organismo di Vigilanza si evince che ad esso siano devoluti compiti di controllo non in ordine alla realizzazione dei reati, ma al funzionamento, alla potenzialità preventiva, alla tenuta ed all’osservanza del Modello da parte dei destinatari dello stesso, curandone, altresì, l’aggiornamento e l’eventuale adeguamento ove vi siano modificazioni degli assetti aziendali di riferimento, non competendo però appunto ai compliance officers funzioni operative effettive o potenzialità concrete ‘di contrasto’ circa la realizzazione dei reati-presupposto alle quali possano ricollegarsi poteri di intervento tali da fondare una posizione di garanzia e da consentire ai componenti del medesimo di disporre di un reale potere di ingerenza-interferenza nella condotta criminosa altrui. A differenza di altri organi sociali, i compiti dell’Organismo si caratterizzano per una sostanziale assenza di poteri impeditivi, non ultimo evidenziandosi come l’Organismo non possa neppure modificare, di propria iniziativa, i modelli esistenti, assolvendo, invece, un compito consultivo della Direzione aziendale/Organi delegati cui compete il potere di modificare i modelli. Tale situazione non muta con riferimento ai delitti colposi realizzati con violazione delle norme in materia di salute e sicurezza sul lavoro. Anche in questo caso l’Organismo di Vigilanza non ha obblighi di controllo dell’attività, ma doveri di verifica della idoneità e sufficienza dei Modelli organizzativi a prevenire i reati. Giova infine rilevare che laddove il Modello Organizzativo non esista o comunque non sia stato adottato in maniera efficace, configurandosi come un’entità meramente fittizia, e, come tale, inidonea a creare obblighi in capo a coloro che sono tenuti a vigilare sul suo rispetto, non sussisterebbe alcun profilo di responsabilità dell’Organismo di Vigilanza. Chiaramente la circostanza che i componenti dell’Organismo di Vigilanza non rivestano la qualifica soggettiva richiesta dalle singole fattispecie penali come individuate da ciascun reato-presupposto,  non esclude che costoro possano concorrere nel reato commesso dagli amministratori e/o dai dirigenti dell’ente/società, quando abbiano intenzionalmente favorito la condotta delittuosa di questi ultimi. In tali casi, infatti, il/i componente dell’Organismo di Vigilanza, pur non rivestendo la qualifica soggettiva  richiesta dalle singole fattispecie penali, coopera fattivamente nell’azione criminosa con altro soggetto che risulta titolare di quella qualifica giuridica e dunque partecipa, in qualità di cosiddetto extraneus, alla violazione dei precetti di cui agli artt. 317 ss. c.p. e di tali reati dovrà rispondere. Ed in effetti, il D.Lgs 231/2001 non attribuisce all’Organismo di Vigilanza poteri di intervento impeditivi nei confronti di comportamenti irregolari o illeciti e poteri disciplinari e sanzionatori diretti, che presuppongono l’esercizio di un’autorità sui comportamenti altrui all’interno e all’esterno dell’impresa, ma si limita ad indicare le modalità organizzative e le condizioni in presenza delle quali la società può andare esente da responsabilità amministrativa, nel caso di commissione di un reato presupposto da parte di un suo amministratore o dirigente. Va dunque ribadito che l’Organismo di Vigilanza non ha alcun compito di impedire i reati, ma quello di concorrere a realizzare i presupposti per la sussistenza della condizione esimente di cui all’art.6 D.Lgs 231/2001 . l’Organo di Vigilanza ha però anche dei PROFILI CIVILI in capo alla 231/01. Nel nuovo quadro normativo gli artt. 2381 e 2403 c.c. (come riformulati dal D.Lgs 6/2003 di riforma del diritto societario) hanno creato, in sostanza, la saldatura tra il sistema della responsabilità esterna (e cioè della società nei confronti del mondo esterno, per i reati commessi dai suoi amministratori) ed il sistema della responsabilità interna (degli amministratori nei confronti della società e degli altri soggetti danneggiati dai predetti comportamenti). E’ infatti incontestabile che l’applicazione di una sanzione conseguente all’accertamento di una responsabilità dell’ente, in caso di commissione di uno dei  reati presupposto previsti dal D.Lgs 231/2001, costituisce una lesione degli interessi della società e dei soci (e, potenzialmente, anche dei creditori sociali e dei terzi, nel caso in cui, per esempio, la società sia sottoposta a pene interdittive dell’attività, o addirittura alla liquidazione coattiva). Ne consegue che l’applicazione della sanzione comporterà la necessità di valutare se il danno derivato alla società (nonché ai soci, ai creditori, ecc…) sia imputabile (sotto il profilo causale) ad un inadempimento, da parte degli amministratori e dei sindaci, ai doveri di controllo loro attribuiti dagli artt. 2381 e 2403 c.c. sopra richiamati . E’ opinione maggioritaria  che l’ente condannato ex D.Lgs 231/2001 per responsabilità ‘da reato’ possa esperire azioni civili intese a conseguire, da coloro che ne hanno creato i presupposti, il risarcimento del danno economico conseguente alla condanna; fra questi  soggetti, oltre agli amministratori, i sindaci  e gli altri organi sociali deputati alla gestione ed al controllo, si può annoverare l’Organismo di Vigilanza qualora sia provato che lo stesso non ha vigilato in modo diligente sul funzionamento e sull’osservanza del Modello di Organizzazione e gestione. E’ anche importante segnalare che  l’omessa predisposizione di un adeguato Modello Organizzativo e gestorio è stata recentemente ritenuta un valido presupposto per la condanna dell’amministratore di società a risarcire  “….dei danni da quest’ultima subiti in connessione con l’omessa adozione di un adeguato Modello Organizzativo …” . Questione annosa e dibattuta è quella relativa alla COMPATIBILITÀ DEL COLLEGIO SINDACALE QUALE ORGANISMO DI VIGILANZA in relazione alla possibilità che il Collegio Sindacale potesse, nella sua totalità, essere investito dell’ulteriore funzione di controllo propria dell’Organismo di Vigilanza ex D.Lgs 231/2001, mentre, in ordine alla possibilità che i singoli componenti del collegio sindacale potessero far parte dell’Organo di Vigilanza , è stato evidenziato che nulla sembra impedire ai sindaci l’assunzione di tali incarichi, in considerazione del fatto che il sindaco è soggetto in possesso ex lege dei requisiti di onorabilità e professionalità richiesti ai componenti dell’Organo di Vigilanza  dai codici di comportamento redatti, a ‘sensi di legge’, dalle associazioni di categoria. 

COME E’ POSSIBILE , DAL PUNTO DI VISTA ASSICURATIVO PROTEGGERSI CON ESCLUSIONE DEL CASO COMPROVATO DI DOLO .

Nonostante la riforma del diritto societario in Italia porti data 2003, solo negli ultimi anni la polizza dedicata agli amministratori di società di capitali ha preso piede in modo deciso nel nostro paese. Se in precedenza il focus era limitato alla responsabilità dell’amministratore, operante secondo riforma con la diligenza specifica richiesta dalla natura dell’incarico, oggi le polizze di questa tipologia vedono allargare i propri orizzonti di copertura con nuove garanzie che rivestono carattere di sicuro interesse per amministratori ed imprenditori. La copertura vale per le richieste di risarcimento per danni patrimoniali cagionati a terzi a seguito di atti, errori od omissioni quando e nella misura in cui le persone agiscono in nome e per conto della società esercitando le loro funzioni di direzione, restando esclusi i revisori contabili esterni e eventuali organi di procedure legate ad insolvenza. Definita l’operatività della garanzia  è possibile comprendere la vastità tematica che interessa  tale polizza, soprattutto considerando che dalla riforma del diritto societario avvenuta in Italia nel 2003 gli amministratori di società di capitali sono tenuti ad operare con “la diligenza specifica richiesta dalla natura dell’incarico” e non più con la semplice diligenza del mandatario. La polizza prevede il risarcimento per danni patrimoniali richiesto da un terzo (o dall’azienda stessa nel caso di un’azione sociale di responsabilità promossa nei confronti di un amministratore) ma non è l’unica fonte di danno.  La polizza NON tutela l’Azienda – che come entità giuridica NON può fisicamente commettere un fatto illecito – ma le PERSONE FISICHE coinvolte nel/i danno/i  che rispondono ILLIMITATAMENTE CON IL PROPRIO PATRIMONIO PERSONALE . Tale esigenza è nata dal fatto che l’ opinione pubblica e gli azionisti delle aziende  , negli ultimi anni , hanno richiesto alle autorità, maggiori regole e vigilanza sugli organi di gestione e di controllo delle società di capitali; il legislatore  ha reagito creando un adeguato quadro normativo in materia societaria a tutela dei soci, e di tutte le controparti finanziarie, istituzionali e commerciali della società, ampliando le competenze richieste a sindaci, amministratori e dirigenti, ponendo a loro carico maggiori responsabilità, e accrescendo i rischi a cui dirigenti aziendali sono esposti quotidianamente (ad esempio D.Lgs 6/2003, D.Lgs 231/2001, D.Lgs 262/2006 , artt. 2392 e successivi del Codice Civile) . L’altra novità è che le autorità stanno cercando di chiamare in causa gli individui e non solo le società, coinvolgendo in causa direttamente i singoli con indagini e richieste risarcitorie nei loro confronti, con costi legali enormi per chi è coinvolto. Anche se non si è ancora arrivati alle class action in stile americano, in tutta Europa si assiste a un crescente numero di cause promosse da azionisti contro dirigenti ed amministratori con accuse di malagestio. In conformità al nuovo quadro normativo , pertanto , le società, gli amministratori, il direttore generale e i dirigenti rispondono solidalmente con il proprio patrimonio personale nei confronti di richieste risarcitorie che azionisti, soci, clienti/fornitori, creditori e finanziatori possono esigere per danni patrimoniali. La polizza D&O tiene indenni gli assicurati da richieste di risarcimento avanzate nei loro confronti per danni patrimoniali subiti da terzi a causa di errori, omissioni e/o violazioni degli obblighi a loro imposti da: leggi, statuto, atto costitutivo, regolamenti e specifiche deleghe, purché tali atti non abbiano carattere di natura dolosa ( la polizza copre fino alla colpa grave ) . Con la polizza D&O, l’assicurato – la definizione di Assicurato varia da Compagnia a Compagnia di Assicurazione e pertanto occorre leggere con estrema attenzione le definizioni della Nota Informativa  è indennizzato anche delle spese legali secondo i canoni classici del ramo di responsabilità civile verso terzi nel limite di un sotto massimale di polizza . Per inciso e  giusto per dovere professionale :  la polizza di responsabilità civile degli amministratori (D&O) non rappresenta un “benefit” ma un costo aziendale, totalmente a carico della società contraente . I premi assicurativi D&O non rappresentano un compenso in natura e, conseguentemente, non concorrono a formare il reddito dei beneficiari e ciò per due motivi: 

1- gli eventuali rimborsi corrisposti dalla compagnia non costituiscono per l’amministratore un arricchimento, bensì una semplice reintegrazione del danno patrimoniale subito dal terzo danneggiato; 

2- tali somme rispondono anche ad un interesse del datore di lavoro, che sarebbe altrimenti chiamato a rispondere, direttamente o indirettamente, del danno arrecato dall’amministratore a terzi . 

Chi sono gli Assicurati in polizza 

– In linea generale :   

1. Le persone fisiche che sono state, sono o saranno nominate: l’ Amministratore Unico, il Consigliere di Amministrazione, il membro del Consiglio Direttivo o dell’organismo sociale equivalente, il membro del Consiglio di Sorveglianza e del Consiglio di Gestione, il membro del Comitato di Controllo sulla Gestione, il Revisore Contabile interno, il membro effettivo o supplente del Collegio Sindacale, il Direttore Generale, il Direttore finanziario e , nei paesi a giurisdizione anglosassone , i dirigenti o i dipendenti con deleghe speciali da parte del CdA, gli amministratori di fatto

 

2. Gli eredi e i legali rappresentanti

3. i Coniugi

4. Ogni dipendente passato, presente e futuro in merito a sinistri in materia di lavoro , il dipendente responsabile per D.Lgs. 81, il dipendente responsabile del trattamento dei dati personali (D.Lgs 196/03), l’organismo speciale di vigilanza (D.Lgs 231/01) D&O

 Le polizze di ultima generazione , però , pur mantenendo tutte le garanzie operanti tradizionalmente e senza aumenti di costo,  offrono un più elevato livello di garanzie sia per le persone assicurate sia per la Società. Vengono recepiti tutti i rischi emergenti legati alle modifiche legislative, ad esempio è assicurata una nuova figura e cioè quella del Data Protection Officier – DPO –  . Vantano inoltre un ampliamento della copertura a favore della società mantenendola indenne per:

 risarcimento del danno e spese legali relative alle richieste di risarcimento avanzate nei suoi confronti, oltre ai costi e alle spese direttamente a carico della società (es. spese di comunicazione, di pubbliche relazioni, di mitigazione del danno etc);
 spese connesse alla salute e sicurezza sul lavoro;
 spese connesse a omicidio colposo o lesioni gravi o gravissime;
 costi di difesa relativi a una situazione di inquinamento;
 inadempimenti contrattuali e spese di crisis management che si concretizzano in onorari, costi e spese ragionevoli per consulenti in materia di pubbliche relazioni , incaricati di limitare l’effetto negativo o potenzialmente negativo sulla reputazione di un ente assicurato in relazione ad un evento di crisi;
 controversie nascenti dai rapporti di lavoro. A titolo di esempio possiamo citare controversie relative a mobbing/bossing , licenziamento, demansionamento, stalking, orari di lavoro, ecc..;
 costi relativi alla preparazione di qualsiasi memoria scritta o resoconto ad un’autorità pubblica in connessione con qualsiasi inchiesta preliminare e le attività di preparazione e partecipazione ad un’ investigazione;
 difesa di ciascun assicurato per tutte le richieste di risarcimento per lesioni fisiche e/o danni ai beni.
 costi di emergenza: intendendosi per tali – onorari, costi e spese ragionevoli di esperti riconosciuti ingaggiati attraverso il difensore legale per preparare una perizia, una relazione, una valutazione, una diagnosi o la confutazione di una prova in connessione con la difesa di una richiesta di risarcimento.
 spese per le pubbliche relazioni.

 

La sua validità temporale

La polizza opera in regime di claims-made :  è quindi indispensabile ai fini di una corretta impostazione e validità del contratto che non ci siano in corso o che l’amministratore non sia a conoscenza di eventuali fatti che potrebbero provocare una richiesta di risarcimento a suo carico, o a carico dell’azienda. Nel caso queste ci fossero, saranno d’ufficio escluse dalla portata della garanzia.

Per l’amministratore che termina il proprio incarico, infine, è possibile definire un cosiddetto periodo di osservazione” di run-off per poter comprendere in garanzia eventuali richieste di risarcimento pervenute anche dopo la scadenza contrattuale della polizza ( generalmente la copertura è postuma per cinque anni e l’assicurato – persona fisica uscente – pagando un premio una tantum che spesso coincide con una annualità lorda di premio , si garantisce gli effetti della polizza ) . E’ evidente, dunque, come l’operatività della polizza risulti particolarmente ampia e riesca a soddisfare in un unico testo le esigenze di copertura sia dell’amministratore che della Società stessa, offrendo servizi aggiuntivi ad alto valore come consulenti legali, periti e professionisti in ambito di comunicazione e/o crisi in grado di limitare fortemente le conseguenze economiche.

Il mercato

Il mercato delle polizze D&O in Italia è in crescita continua : i premi lordi, che nel 2012 erano pari a 190 milioni di euro, hanno toccato i 240 nel 2016 per arrivare, si stima, a 255 milioni nel 2020.

I settori che fanno ricorso maggiormente alla copertura sono : 

1- il manifatturiero (89%), 

2- il bancario/finanziario (60%), 

3- il settore del wholesale e retail (59%), 

4- il business services (58%), 

5- quello relativo alle costruzioni (56%) 

6- l’alimentare (42%).

Dati emersi da quelli elaborati da XL Catlin, compagnia di assicurazione e riassicurazione, e presentati all’interno del convegno “Il futuro della D&O, la D&O del futuro” .

Perché viene acquistata e perché non viene acquistata dalle Aziende l’assicurazione D&O

Perché viene acquistata dalle Aziende  E’ stato più volte ribadito che la polizza D&O tutela il patrimonio personale degli amministratori, dirigenti e sindaci delle società dalle richieste di risarcimento avanzate a titolo di risarcimento danni. Per molti anni è stata considerata all’Estero – mentre in Italia era praticamente sconosciuta – alla stregua di una commodity di cui è impensabile fare a meno. Detto questo la polizza  viene sottoscritta principalmente per “prevenire o mitigare il rischio” (52%) e anche perché raccomandata da un broker assicurativo o da un consulente (41%) a tutela dell’assicurato. Nel 39% dei casi viene acquistata sulla spinta della preoccupazione di un fallimento, perché consigliata da un avvocato (34%) o perché ritenuta conveniente (33%).

Perché non viene acquistata dalle Aziende Secondo i dati raccolti da Axor, Finaccord e altri istituti di ricerca, il 33% ritiene che la copertura non sia necessaria perché la Società non è quotata, mentre un altro 33% non ci pensa perché non ha avuto esperienze di sinistri e quindi richieste di risarcimento in passato. Il 30% non ritiene necessaria la polizza D&O perché la loro è una società a conduzione familiare. Chiaramente tali convinzioni nascono dal fatto che non conoscono i veri rischi cui vanno incontro , soprattutto la portata delle sanzioni amministrative ( mai assicurabili ) che in Italia vanno per ogni fatto illecito accertato da un minimo di euro 25.000,00 ad un massimo si euro 1.500.000,00 . 

Le richieste di risarcimento

Negli ultimi 3 anni è stato denunciato un sinistro D&O dal 26% delle aziende. Si è riscontrata una crescitaesponenziale: si è infatti passati dalle 13 del 2000 alle 1.700 del 2014.C’è però da rimarcare che il basso numero di sinistri registrati in Italia  non è indice di un numero basso di procedimenti giudiziari intentati contro i manager , ma riflette la scarsa diffusione della polizza.Tra i sinistri più frequenti riscontriamo le liquidazioni, i fallimenti e altre procedure concorsuali, i procedimenti penali come le violazioni in materia di sicurezza e prevenzione sui luoghi di lavoro e i reati in materia ambientale. Ricorrenti anche i procedimenti dell’autorità di vigilanza e relativi a reati fiscali e tributari.Tali procedimenti investono maggiormente le Banche e gli istituti finanziari, le aziende del settore delle energie, delle telecomunicazioni e le aziende farmaceutiche. Le richieste di risarcimento sono cresciute anche per il proliferare di leggi, non solo in Italia ma anche nel resto del mondo, che hanno posto maggiori responsabilità e doveri in capo ai manager e anche se si avverte una sensibilità crescente da parte delle aziende, come dimostrano i dati di diffusione della polizza, manca però ancora una reale consapevolezza da parte degli amministratori sui veri rischi in cui possono incorrere quali i danni al patrimonio personale , quelli relativi alla reputazione e alla professionalità dei manager stessi fino , le ricadute sul business e sull’immagine dell’azienda.

A quali Compagnie affiderei la mia D&O 

– AIG

– ACE/CHUBB

 ALCUNI SOTTOSCRITTORI DEI LLOYD’S DI LONDRA

– XLCATLIN

– GENERALI ITALIA SPA ( non in delega )

– SRI

– BEAZLEY

– NAVIGATOR

Andrea Santi

Risk Manager

Overform Assicura

Tsunami dei Fallimenti post Covid

– È APPENA COMINCIATO LO TSUNAMI DEI FALLIMENTI –

Questo è il panorama dell’economia statunitense.

1. La rental cars company più grande al mondo (Hertz) ha dichiarato bancarotta ed è anche proprietaria dei marchi Thrifty e Dollar.

2. La compagnia di trasporti più grande (Comcar Industries Inc.) ha dichiarato bancarotta: possiede oltre 4000 camion.

3. La compagnia di retail più antica (JC Penny) ha dichiarato bancarotta, e Amazon la acquisterà a costo zero.

4. Il più grande investitore del mondo (Warren Buffet) ha perso 50 miliardi di dollari in soli 2 mesi.

5. La compagnia di Investimenti più grande del mondo (Blackrock) sta rilevando risultati disastrosi nell’economia mondiale: amministra 7 miliardi di dollari.

6. Il mall più grande d’America (Mall of America) ha smesso di pagare il mutuo ipotecario.

7. L’aerolinea più riconosciuta del mondo (Emirates) ha licenziato il 30% degli impiegati

8. The treasure of USA stampa miliardi per cercare di mantenere l’economía in vita: si stamperanno oltre 7 triliardi di dollari.

9. Nissan Motor Company sta valutando la chiusura in America.

10. Tra 12.000 e 15.000 imprese chiuderanno nel 2020 tra i quali hanno annunciato chiusure i seguenti brand:

– Tripulacion J

– Brecha

– Victoria’s Secret

– Bath & Body Works

– ForEver 21

– Sears

– Walgreens

– Gamestop

– Pier 1 Importaciones

– Nordstrom

– papiro

– Chico’s

– Destino Maternidad

– Modell’s

– A. C. Moore

– Macy’s

– Bose

– Art Van Furniture

– Olympia Sports

– KMart

– Especialidad Cafetería

Si prevedono mancati pagamenti per mutui di casa, prestiti di auto, plafone di carte di credito.

Il vero impatto nell’economia del covid-19 si vedrà nel terzo trimestre del 2020.

Gli americani che si sono iscritti all’equivalente della cassa integrazione italiana, hanno raggiunto i 38 milioni: la disoccupazione ha raggiunto il 25% (di 160 milioni della popolazione attiva, circa 40 millones son disoccupati). La disoccupazione più alta della storia americana che arriva subito dopo la più bassa mai avuta. Senza ingressi, la domanda dei consumatori cadrà drasticamente e l’economia entrerà in recessione.

E questo è ciò che avverrà negli stati uniti, la più grande potenza economica del mondo.

Non oso pensare cosa possa succedere in altri stati, Italia compresa.

Il grafico sotto riportato presenta la drammaticità del momento. In blu i disoccupati degli ultimi 25 anni in america. In rosso le aziende fallite. Siamo quasi a 10 volte peggio la peggiore crisi del 2007-2009.

Fine lookdown e fine della crisi?

La fine del lockdown può certamente indurre a pensare che la crisi sia ormai in fase di superamento e da qui in avanti possiamo iniziare a scontare una ripresa dell’attività economica.

Più passa il tempo e più emerge chiara la sensazione che il settore finanziario non sembra aver capito l’impatto e le implicazioni di lungo periodo di questi eventi né di quello che accadrà all’economia reale.

Sebbene le analisi di consenso si concentrino in prevalenza sui rischi di ricadute dovute a possibili ritorni del contagio, è molto più importante pensare alle conseguenze economiche che ci attendono senza ulteriori ipotesi.

 Ipotizzare altri danni provenienti dai rischi di un ritorno dei contagi non credo sia un esercizio utile, anche perché se dovesse accadere, tutti siamo consapevoli di quello che potrebbe accadere. È molto più interessante invece cercare di capire cosa ci si puo’ attendere, dando per scontato che il problema pandemico sia risolto, e ipotizzando quindi uno scenario “virus free”.

L’economia mondiale è arrivata all’appuntamento con il Covid 19 nella peggiore delle situazioni possibili, con alta vulnerabilità al debito e alla leva finanziaria speculativa, e la pandemia ha avuto un effetto catalizzatore su tutta una serie di problemi che ormai erano evidenti da tempo.

Le bolle speculative su credito e equity che circolavano nel sistema attendevano una miccia per esplodere e la crisi finanziaria sarebbe arrivata comunque, anche solo per una semplice recessione. Se si continua ad insistere nell’attribuire a un virus, e cioè a un fattore esterno, il motivo della crisi che ci attende, si continua a negare l’evidenza di un modello finanziario ed economico che funziona solo con eccesso di leva, compressione dei redditi, ampio debito speculativo e pochi investimenti nell’economia reale, un modello che  non è sostenibile.

E’ del tutto illusorio continuare a sostenere che la forza di un economia dipende solo da quanto debito è in grado di fare, senza tenere conto della qualità di questo debito e, soprattutto, di come venga utilizzato e  se produca a termine un miglioramento dei redditi reali. Se il debito cresce decisamente piu’ del reddito che lo deve sostenere, è ovvio che questo modello condanna a crisi inevitabili sempre piu’ sistemiche i cui postumi compromettono la tenuta del sistema finanziario e poi di quello capitalistico.

Negli ultimi dieci anni tutti hanno fatto tantissimo debito solo per sostenere consumi che i redditi reali non consentivano di fare, in particolare in USA, Canada, UK e Australia, e per fare finanza speculativa.

Per gli economisti della consensus view è del tutto logico accettare che il 30% dei consumi negli Stati Uniti possano dipendere solo dalla crescita del debito e non dalla crescita dei redditi e che la finanza possa fare leva sull’economia senza limiti e senza controlli, grazie a regulators che si compiacciono nel vedere i mercati salire senza fine e la propensione al rischio esplodere in continue bolle speculative.

Ma come sottolineato piu’ volte, il problema non è se un sistema economico e finanziario possono avere una crisi, ma se la crisi il sistema è in grado di reggerla e di superarne il danno in tempi accettabili. Reggere una crisi significa non rischiare di implodere tutte le volte che se ne affronta una (come accade ormai dal 2002).

Se poi i tempi di recupero non sono accettabili per chi ha subito il danno (imprese e lavoratori) il sistema non regge sia da un punto di vista economico che sociale e si apre una fase di instabilità di lungo periodo.

 I mercati finanziari ripongono grande fiducia nelle Banche Centrali per risolvere le crisi con operazioni basate su iniezioni di liquidità (Quantitative Easing) e per questo motivo si spingono ad eccessi speculativi destabilizzanti, nella convinzione che il rischio di sistema non esiste e la liquidità è la soluzione di tutto.

Ma le cose non sono cosi’ semplici come si vuole far credere. Questo modo di pensare e di operare, con il supporto complice dei regulators, fa confondere la differenza che esiste tra liquidità e solvibilità. La liquidità puo’ essere infinita ma non è detto che chi ne dispone la indirizzi verso coloro che ne hanno bisogno, se costoro non sono in grado di restituirla perché non solvibili. Chi di voi presterebbe soldi a chi è a rischio di fallire ?La solvibilità di un sistema dipende esclusivamente dalla propensione al rischio di chi fornisce credito (Banche, Fondi d’Investimento e investitori) e molta della liquidità che circola nel sistema dipende dunque solo dalla propensione al rischio di banche ed investitori e potrebbe dunque non trasformarsi in credito per chi ne ha bisogno. Non è un caso che tutte le volte che la massa monetaria  M2 esplode in concomitanza con le crisi, il credito all’economia si contrae.

La crisi che stiamo subendo avrà un pesante impatto sulla propensione al rischio e quindi sulla circolazione della liquidità immessa nel sistema. Se tutta la liquidità immessa con il QE non si trasforma in credito in tempi brevi, il sistema subirà un credit crunch anche in una fase di espansione dei bilanci delle Banche Centrali.

La crisi non finisce dunque con la fine del lockdown ma inizia quando cominciano a manifestarsi gli eventi di credito (i fallimenti) e quindi comincia adesso. Gli eventi di credito infatti incidono sulla propensione al rischio di chi dovrebbe dare credito al sistema. In media le recessioni negli Stati Uniti durano circa 13 mesi, ma nel 2008 sono stati 18, e potrebbero essere 13/18 mesi lunghissimi per il potenziale squilibrio tra liquidità e solvibilità.

L’economia americana evidenziava a fine 2019 una dimensione di credito speculativo ad alto rischio di insolvenza di 5200 miliardi di dollari (il 25% del PIL) già solo in caso di normale recessione.

I recenti downgrading subiti da molte società hanno fatto recentemente salire tale importo a oltre 6 trilioni di dollari (+20% in un solo mese e ora il 30% del PIL). Nel 2008, che tutti ricordano come una crisi poco divertente, tale percentuale era al 12%.

Le Teorie Monetariste, molto in voga nelle Banche Centrali ma poco aggiornate per navigare in una economia dove comandano debito e finanza (Debt Driven Economy), non distinguono tra liquidità e solvibilità, perché danno per scontato che chi ha liquidità non ha una propensione al rischio ed è pronto a prestare soldi al sistema in qualsiasi condizione esso sia. Credo proprio che ora ci attendano tempi che metteranno in evidenza questa differenza, anche se sono abbastanza certo che, sempre gli economisti della consensus view continueranno a rimanere ancorati alle loro teorie.

In questi ultimi due mesi, solo negli Stati Uniti, sono fallite  1600 aziende al giorno (!) nonostante la liquidità immessa nel sistema sia al record di sempre (Fonte: USA Census Bureau/ Deutsche Bank Ec. Research). Il credito al consumo per il consumatore americano si è contratto pesantemente, cioè le Banche sono passate dall’erogare 15/20 miliardi di dollari al mese a togliere 12 miliardi dal settore del credito al consumo (i consumi rappresentano il 75% del Pil Usa a fine 2019). Nessuno vuole fare piu’ credito ai disoccupati che aumentano in modo esplosivo dato che le banche, che hanno ricevuto la liquidità dalla FED, hanno iniziato a pensare che chi rimane senza lavoro non puo’ pagare le rate e quindi non è piu’ solvibile come prima (ecco un primo esempio della differenza tra liquidità e solvibilità).

A Wall Street potrebbero obiettare che i sussidi alla disoccupazione erogati a pioggia risolveranno il problema, ma credo che chi vive di sussidi non abbia come priorità il rimborso del debito e quindi i default sono destinati a salire inesorabilmente.

A questo punto, data la forte correlazione esistente tra il credito al consumo e i consumi, e tra i consumi e i profitti delle società quotate, è probabile che possa verificarsi una corporate crisi di solvibilità delle aziende indotta da una crisi di liquidità dei credito al consumo., come ben evidenziato da Rana Foroohar sul Financial Times del 10 maggio (Gambling on US equities is becoming more difficult).

Non mi ricordo di aver mai assistito a un aumento del credito in una fase di aumento dei fallimenti, sebbene nelle fasi di crisi la liquidità immessa nel sistema dalla banca centrale aumenti, ma ovviamente non si trasformi in credito ( punto critico delle Teorie Monetariste che utilizziamo per gestire la nostra economia).

Occorre quindi distinguere tra liquidità, credito e solvibilità perché non sono la stessa cosa come invece Wall Street vuole far credere ad una massa di investitori accecati dalla semplicità (solo apparente) di come funziona l’economia monetaria.

Un altro plateale esempio della differenza tra liquidità e solvibilità è il fallimento Lehman Brothers, avvenuto nel settembre 2008, con il QE della FED in piena operatività e con la crisi finanziaria in corso già da nove mesi. Con tutta la liquidità che circolava nel sistema, Lehman non avrebbe dovuto fallire…….ma anche in questo caso la liquidità non si era trasformata in credito per alcuni e molti intermediari, tra cui Lehman, sono falliti in pieno QE.

Il recente fallimento della Hertz (autonoleggio) è avvenuto in concomitanza con l’acquisto da parte della FED di corporates Bonds che rientravano nel piano Secondary Market Corporate Credit Facilities e ora la FED è creditore nel fallimento Hertz che, appunto grazie a tale piano, non avrebbe dovuto fallire.

Ma allora a cosa servono questi interventi se poi i default avvengono comunque? Servono a mantenere i soldi degli investitori nel sistema, facendo credere che la liquidità e la solvibilità siano la stessa cosa. Questo meccanismo psicologico induce a non vendere e in questo modo sono gli stessi investitori che, mantenendo la loro liquidità investita, sostengono un sistema che diversamente andrebbe in default in un colpo solo.

In pratica la strategia consiste nel cercare di mantenere il piu’ possibile tutti investiti, perché la vostra liquidità è molto maggiore di quella della FED e in realtà non è la liquidità della FED che sostiene il sistema ma la vostra.

Gli interventi della FED dal 2008 ad oggi si misurano in 7 mila miliardi di dollari ma lo stock di attività finanziarie in circolazione solo sul mercato Usa è pari a circa 120 mila miliardi (5,5 volte il PIL

È del tutto evidente che la massa d’urto delle Banche Centrali è minima rispetto alla dimensione del mercato e quindi la liquidità vera che circola nel sistema è prevalentemente fornita sempre dal mercato e quindi da investitori, banche e fondi d’investimento e dalla loro propensione al rischio.

Le politiche delle Banche Centrali dal 2008 in poi hanno trasformato i portfolio managers in meri cacciatori di rendimento, inducendoli a trasformare l’attività di investimento in una mera selezione di attività finanziarie che producessero alti rendimenti senza rischio apparente, nella convinzione che le Banche Centrali avrebbero prevenuto qualsiasi crisi.

Questo meccanismo ha spostato nettamente al rialzo la propensione al rischio del sistema e ha fatto esplodere il credito speculativo, consentendo l’emissione di circa 19 mila miliardi di dollari di obbligazioni da parte di emittenti che, con i loro ricavi, non riuscivano neppure a pagare gli interessi passivi sul debito emesso neanche in una fase di espansione dell’economia.

Se ora molte di queste emissioni faranno default, non si potrà certo attribuire la colpa a un virus, ma piuttosto a un sistema totalmente fuori controllo. A questo punto la Banca Centrale Usa si è trasformata da prestatore di ultima istanza a compratore di ultima istanza, per indurre appunto il sistema a non vendere e rimanere investito:  ma ciò non impedisce comunque i fallimenti.

 In un sistema dove tutti hanno comprato, nessuno poteva infatti vendere e la FED si è vista costretta ad entrare in un mercato finanziario che funziona solo quando sale mentre quando scende salta per aria.

Cosi’ ecco le Banche Centrali acquistare Corporate Bonds, High Yields e via dicendo, per salvare un sistema che esse stesse hanno costruito sulla base di politiche monetarie che non conoscono ormai un limite. Ma la parte piu’ rilevante degli interventi, come sempre, è fatta per Wall Street e non per Main Street, che con questa crisi evidenzia già ora 36 milioni di disoccupati che avranno aiuti certamente meno importanti di quelli erogati ad un sistema finanziario sciagurato.

Sebbene gli operatori dei mercati finanziari siano contenti e felici di essere salvati e il sistema stesso, nel breve periodo, sembri beneficiarne, si trascura l’impatto di lungo termine di questo modo gestire l’economia e la finanza.

Sapete perché c’è in circolazione una massa di credito a rischio di default come mai prima nella storia? Perché il collocamento di Leverage Loans, MBS, ABS, CMBS, CLO e High Yield di tutti i tipi produce enormi profitti per Wall Street che accumula commissioni fino al 4%-5% (società di rating incluse) per organizzare, cartolarizzare, collocare e poi gestire questi strumenti che vengono distribuiti ad investitori alla ricerca di rendimenti.

 Il rendimento per l’investitore finale è nettamente ridimensionato dalle ricche commissioni degli intermediari che diffondono poi il rischio nel sistema attraverso una intensa attività di distribuzione e commercializzazione del rischio, senza alcuna vigilanza reale su dove questi rischi vanno a finire. La socializzazione del capitale di rischio, ovvero soldi facili per fare finanza speculativa ma non per fare investimenti, e la compressione della sua remunerazione, che ne è una conseguenza, hanno compromesso la redditività di un capitale che chiede sempre di essere salvato dai rischi che si prende, mentre gli imprenditori dell’economia reale molto spesso non godono dello stesso privilegio.

Se poi si viene costretti a operare su mercati che funzionano solo sul buy side (quando salgono) e non funzionano piu’ sul sell side (quando scendono), vuol dire che ci stiamo addentrando sul terreno del sequestro velato del capitale.

In sostanza, puoi solo comprare ma non potrai mai vendere, perché quando vorrai vendere, lo potrai fare solo con perdite inaccettabili. Ecco quindi che, i capitali investiti che attualmente sono in perdita, rimangono congelati in attesa di tempi migliori, con ovvie conseguenze per la remunerazione nel lungo termine del capitale investito.

Oggi il trading on line da parte di investitori al dettaglio è il piu’ importante competitor della PlayStation. Infatti, i brokers americani non fanno piu’ pagare neppure le commissioni di intermediazione perché i profitti maggiori vengono fatti finanziando i clienti per fare leva 2 o 3 o 5 volte sul capitale investito (se ti indebiti giochi gratis). Un recente sondaggio fatto negli Stati Uniti evidenzia che i recenti sussidi erogati ai privati cittadini dal governo USA sono stati utilizzati, dai percettori compresi tra le fasce di reddito di 35 mila-100 mila dollari, per i seguenti scopi: 1) accumulare risparmio, 2) utilizzo per spese correnti, 3) trading on line (Fonte: Yodlee Data Analytics).

Se qualcuno vuole cercare dei paragoni con il 1929, ha ampio materiale a disposizione.

Il risultato fallimentare di questo modello economico e finanziario è evidente e i recenti interventi delle Banche Centrali stanno dimostrando che la socializzazione della finanza come strumento per produrre ricchezza non funziona.

La finanza populista di Donald Trump, che utilizza l’andamento dell’indice di borsa per scopi elettorali, non ha prodotto benessere per gli Stati Uniti e solo politiche economiche che rimetteranno al primo posto il reddito da lavoro produrranno la svolta.

 L’aumento dei redditi è indispensabile per sostenere un debito non piu’ sostenibile con l’emissione di altro debito, una sorta di schema Ponzi come nel 2008, quando il sistema è ripartito con lo stesso modello fallimentare che ne aveva procurato il collasso, per poi produrne un altro.

La crisi indotta dal Coronavirus apre una epocale fase di trasformazione dell’economia che produrrà alta instabilità fino a quando non si troverà un modello migliore per gestire la crescita.

A questo punto si dovrebbe prendere semplicemente atto che l’esasperazione del modello basato sui profitti generati da un eccesso di leva finanziaria e da una finanza fuori controllo ha fallito e ha prodotto il risultato opposto: la nazionalizzazione del sistema causata da eccessi di speculazione finanziaria, esattamente quello che è accaduto dopo la crisi del 1929.

Credo che una grande fonte di ispirazione per gestire questa crisi si potrebbe trovare nella rivisitazione delle politiche del New Deal, dando ormai per scontato che la presenza dello stato nell’economia è inevitabilmente destinata a crescere, la tassazione salirà ovunque e la globalizzazione è ormai sotto attacco da tempo.

Anche le tendenze geopolitiche sembrano accentuare questi fenomeni perché la guerra commerciale tra Cina e Stati Uniti è in realtà uno scontro geopolitico destinato a proseguire e ad accentuarsi, creando ulteriori problemi all’economia mondiale.

L’ultimo baluardo di difesa di questo modello economico fallimentare rimane la forza del dollaro, proprio quando invece il mondo avrebbe bisogno di un dollaro debole, perché è  la principale divisa di finanziamento a livello globale. Se il dollaro scende, il costo del debito per chi si è indebitato in dollari scende. Ma mentre prima della crisi Trump invocava un dollaro debole, ora si accorge che la forza della moneta  garantisce un flusso di capitali vitale per il colossale debito americano (pubblico e privato), finanziato in modo pronunciato dal risparmio estero.

Europa, Giappone e Cina riversano fiumi di denaro sugli asset americani per sostenere un modello finanziario ormai in crisi. Proprio la forza del dollaro nasconde la fragilità del sistema: senza i capitali esteri l’America sarebbe praticamente in default, avendo un debito estero pari al 45% del PIL.

Per ridurre questa dipendenza dai capitali esteri, gli americani dovrebbero aumentare il risparmio interno e ridurre il debito, accettando un lungo periodo di aggiustamento degli squilibri cumulati in questi ultimi dieci anni e una bassa crescita economica. Poiché questa scelta è, al momento, inaccettabile, ecco la FED intervenire per puntellare il sistema e sperare che tutto torni come prima.

Purtroppo, i tempi per riparare il sistema non ci sono e già oggi i futures sui FED Funds a scadenza dicembre 2020 e Marzo 2021 prezzano tassi negativi sulla divisa di riserva mondiale, nonostante la FED continui ad affermare che per il dollaro i tassi negativi non possono esistere.

Probabilmente una parte del mercato è riuscita a sfuggire alla sovietizzazione e preannuncia l’arrivo del cedimento dell’ultimo tassello che produrrà una totale ristrutturazione del sistema economico e finanziario mondiale.

La cosiddetta fase 2, il dopo lockdown, per l’economia internazionale non è neppure cominciata e la parte piu’ facile per gestire la crisi (ovvero stampare moneta) è già finita. Mentre i mercati finanziari hanno già scontato una rapida e facile ripresa, emerge in modo sempre piu’ evidente che la ripresa sarà lenta e deludente. Sperare che questa volta tutto sarà risolto stampando moneta è pura arroganza finanziaria. Difendere a oltranza un modello di crescita che non produce piu’ ricchezza (se non per pochi) ma solo debiti (per molti) sarà probabilmente l’errore fatale.    

Fonte: MilanoFinanza

Il crollo del Pil taglia le future pensioni fino al 2,5-3%

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La grave recessione economica colpirà anche chi andrà in pensione nei prossimi anni. Il crollo del prodotto interno lordo avrà infatti conseguenze negative sulla rivalutazione del montante contributivo (per i versamenti dal primo gennaio 1996 in poi) alla base del calcolo dell’assegno. Spetterà al governo decidere se far finta di nulla, il che determinerebbe una riduzione permanente degli assegni che verranno liquidati dal 2022-23 in poi e che potrà arrivare fino al 2,5-3% per gli assegni interamente contributivi rispetto all’importo che si sarebbe avuto senza la recessione post Covid-19 (una trentina di euro lordi in meno al mese, prendendo come riferimento l’importo medio lordo delle pensioni liquidate nel 2019, cioè 1.126 euro) oppure intervenire, come fece nel 2015 l’esecutivo Renzi, bloccando temporaneamente l’applicazione del tasso di variazione del montante che, per la prima volta, era negativo.

Quando il coefficiente va sotto zero

Il meccanismo è complesso da spiegare, ma risponde al criterio ispiratore della riforma Dini (1995) di mantenere l’equilibrio finanziario del sistema, liquidando pensioni frutto dei contributi versati e dell’andamento del Pil. Il metodo di calcolo contributivo della pensione si applica su tutti i versamenti dal 1996 in poi, escludendo solo coloro che a quella data avevano più di 18 anni di contributi, che mantengono il più vantaggioso sistema di calcolo retributivo e che tra l’altro sono già quasi tutti andati in pensione. Gli altri ricadono invece in tutto (se hanno cominciato a lavorare dopo il 31 dicembre 1995) o in parte (se hanno cominciato prima) nel metodo contributivo. Che prevede appunto la rivalutazione del montante versato sulla base di un coefficiente calcolato ogni anno dall’Inps sull’andamento del Pil nei 5 anni precedenti. Dal 1996 in poi questo coefficiente è stato sempre positivo, sia pure in calo a causa del progressivo rallentamento della crescita dell’economia. Nel 2015, per la prima volta, il coefficiente presentò il segno meno (-0,001927), il che avrebbe prodotto un leggero taglio del montante accumulato fino a quel momento. Ma il governo, con il decreto legge 65 del 2015, stabilì che per quell’anno la variazione non si applicasse e il montante non subisse riduzioni.

L’impatto dal 2022

La stessa norma regola anche il da farsi nel caso in cui si abbiano di nuovo (come potrebbe accadere ora) coefficienti negativi, stabilendo che lo scarto col segno meno debba essere recuperato negli anni successivi sottraendolo dai tassi positivi, senza mai scendere sotto lo zero (se necessario, quindi, il recupero avverrà in più anni). In ogni caso, anche se non si arrivasse a coefficienti negativi (perché già dal 2021 il Pil dovesse tornare, come prevede il governo, in crescita), è chiaro che essi saranno nettamente più bassi di come sarebbero stati senza la recessione post Covid-19, determinando appunto una perdita permanente sui nuovi assegni (dal 2022, perché, per via dello sfasamento di un anno previsto dalla legge, quello sarà il primo anno cui si applicherà un coefficiente frutto anche del Pil 2020) di qualche decina di euro al mese. Il quotidiano il Messaggero, che oggi solleva il caso, calcola per esempio che una persona nata nel 1956 che ha cominciato a lavorare nel 1980 e va in pensione nel 2023 a 67 anni, perde il 2,7% sulla parte contributiva della pensione e l’1,7% dell’importo complessivo della pensione lorda , in questo caso calcolata col sistema misto (retributivo fino al 1996, contributivo dopo). Quindi, anche se la pandemia, come tutti ci auguriamo, passerà, i danni che lascerà peseranno purtroppo per molti anni.

Fonte Enrico Marro
Il corriere della sera

Furioso incendio alla Geo&Tex 2000 di Valbrenta (VI)

Il rischio incendio è sempre in agguato e i danni che può provocare possono riguardare anche l’ambiente,non solo l’azienda.

L’evenienza di causare un danno ambientale, anche importante, richiede la presenza di una copertura assicurativa adeguata e specifica: la polizza di responsabilità civile per il danno ambientale.

Rogo domato dopo una notte di lavoro. I tecnici dell’Arpav hanno effettuato un campionamento dell’aria della zona.

Credits © Vigili del FuocoIncendio alla Geotex di Valbrenta

Incendio alla Geotex di Valbrenta

Poco prima delle 22:30 di venerdì 29 maggio, i vigili del fuoco sono intervenuti per un incendio in capannone della Geo&Tex 2000 di via Giusti a Valbrenta (VI). Le fiamme, partite esternamente da un deposito di materiale, si sono subito estese anche all’attiguo magazzino interno collegato alla parte produttiva. Le squadre dei vigili del fuoco arrivate da Bassano, Vicenza, Cittadella e Thiene, hanno iniziato le operazioni di spegnimento su più lati dell’ampia struttura. L’incendio ha bruciato la parte esterna e, con una violenta combustione, il magazzino interno che conteneva il prodotto finito di materiali geotessili.

L’incendio ha prodotto alte colonne di fumo per diverse ore e i tecnici dell’Arpav, allertati dai vigili del fuoco, hanno effettuato un campionamento dell’aria della zona. Le cause del rogo sono ora al vaglio del personale di polizia giudiziaria dei vigili del fuoco.

Fonte Rai news

Tan Chong Meng, ceo di PSA: “Recessione in vista. La ripresa? Solo fra 2-3 anni”

Genova – Tan Chong Meng, ceo del gruppo PSA International, prevede che la pandemia di Covid-19 ridurrà l’attività degli operatori terminalistici globali per due – tre anni. Nel frattempo, ci sarà un aumento della regionalizzazione dei traffici. Tan ha voluto condividere i suoi pensieri sui prossimi mesi con un messaggio video pubblicato sui social media e che ShipMag ha deciso di riprendere.

Il ceo di PSA, multinazionale che gestisce anche il porto container di Genova-Pra’, ha detto che “dobbiamo essere preparati ad una recessione”. Un rimbalzo economico? “Può avvenire ma solo con aziende sane e in salute, non è il certo il caso adesso”. Tan sottolinea che in questi mesi “c’è stata una folle corsa al commercio online e alle piattaforme di lavoro virtuali, ma questo è riuscito solo a far andare avanti il mondo con una marcia molto bassa”.

La ripresa per il commercio e le attività di PSA a livello globale richiederà anni, anziché mesi. “Anche se alla fine il consumo tornerà, rimarrà lento nel medio termine, e quindi la nostra attività che si basa sul traffico di container sarà probabilmente frenata per circa due o tre anni e anche questa flessione dipenderà in quanto tempo il mondo uscirà Covid-19 , ha spiegato Tan.

Il ceo di PSA prevede anche uno spostamento verso la regionalizzazione dei traffici e una minore dipendenza dalla Cina come centro di produzione. “I produttori potrebbero concentrarsi maggiormente sulla regionalizzazione per abbreviare le catene di approvvigionamento, gestire le scorte in modo più efficace e raggiungere i mercati più rapidamente. Ciò potrebbe accelerare lo spostamento della produzione dalle tradizionali fabbriche globali come la Cina alle zone di produzione regionali”. Tan aggiunge: “Il commercio intra-regionale probabilmente potrebbe crescere più rapidamente di quello inter-regionale, e per noi il primo tipo di commercio potrebbe anche diventare quello preferenziale. Poi per dare continuità al traffico anche al di fuori del centri logistici regionali sarebbe importante che i clienti internazionali utilizzassero il trasporto intermodale in modo fluido e supportato dalla tecnologia per controllare in tempo reale la movimentazione della merce “.

Fonte Shipmag

Salvaguardarsi tenendo poca liquidità sui conti correnti

L’intestatario di un conto corrente che sa di tenere i propri risparmi al sicuro dovrebbe conoscere 5 ragioni per cui conviene lasciare pochi soldi. Dovrebbe interrogarsi su quanto costa tenere i soldi fermi sul conto corrente, dove conviene conservare i risparmi, cosa si rischia con troppi soldi in deposito.

Quali spese comporta ad esempio avere 10.000 o 50.000 euro, quanti soldi si possono tenere e, soprattutto, sono sicuri? Il correntista accorto non può prescindere dal conoscere risposte attendibili a tali interrogativi per cui deve valutare l’eventuale convenienza di lasciare liquidità sul conto. Da più parti giungono voci autorevoli e concordi che sconsigliano vivamente di lasciare in deposito somme rilevanti di denaro.

D’altronde il risparmiatore italiano che non intende assolutamente inoltrarsi nella giungla degli investimenti non sa dove tenere al sicuro la liquidità. Il timore di riportare ingenti perdite lo dissuade dall’acquisto di azioni, obbligazioni o fondi comuni di investimento. Ma d’altro canto conviene analizzare almeno 5 ragioni per tenere pochi soldi sul conto corrente.

5 ragioni per tenere pochi soldi sul conto corrente

Cade in errore il correntista che evitando il rischio di investimenti ritiene di non  subire perdite lasciando liquidità sul conto corrente. Ciò perché in alcuni casi si tratta di perdite minime che a lungo termine però erodono la somma di denaro in deposito. Si pensi all’imposta di bollo da cui è esente solo il titolare di conto che lascia in giacenza una somma inferiore ai 5000 euro. I correntisti titolari di somme più elevate della suddetta soglia versano un’imposta il cui importo su base annua ammonta all’incirca a 34 euro.

Altra ragione che dovrebbe persuadere chiunque a lasciare somme considerevoli riguarda l’inflazione. Già nel 2017 si è registrato un incremento del 1,2% dell’inflazione che ha comportato l’erosione dei risparmi dei correntisti dello 0,80% circa. Ciò comporta una netta riduzione del potere di acquisto per cui si potranno comprare sempre meno beni con la stessa somma di denaro.

La presenza di liquidità sul conto espone altresì al rischio di pignoramenti da parte dell’agenzia delle entrate in presenza di contribuente insolvente. Il creditore si rivolgerà difatti all’istituto bancario per pretendere soddisfazione di pagamento e recuperare le somme delle imposte evase.

Quel che più spaventa, soprattutto in tempi di recessione economica, è lo spettro della tassa patrimoniale che aleggia come un falco sui risparmi degli italiani. Il timore riguarda la possibilità di vedersi depredati di una percentuale, ovvero della tassa patrimoniale, che il Governo potrebbe attingere direttamente dal conto dei contribuenti.

L’ultima ragione inquadra una situazione alquanto remota che implicherebbe il totale fallimento dell’istituto di credito in cui si è titolari di conto. Se l’istituto bancario dovesse maturare dei debiti, per effetto del bail in, preleverebbe somme di denaro dai conti con depositi superiori ai 100mila euro. Di qui l’importanza di lasciare sul conto meno liquidità possibile.

La responsabilità penale del datore di lavoro per contagio da Covid-19

Il “Decreto Cura Italia” considera il contagio da coronavirus in ambito di lavoro come un infortunio meritevole, in quanto tale, di ricevere la copertura assicurativa Inail. Il datore di lavoro, pertanto, è potenzialmente esposto alla responsabilità penale per i reati di lesioni ai sensi dell’art. 590 c.p. e omicidio colposo ai sensi dell’art. 589 c.p., aggravati dalla violazione delle norme antinfortunistiche, laddove non abbia adottato le misure necessarie a prevenire il rischio di contagio, cagionando così la malattia o morte del lavoratore. L’articolo commenta i profili penali legati alla posizione di garanzia del datore di lavoro e considera l’onere probatorio sul nesso di causalità tra il contagio e l’ambiente di lavoro, nonché l’elemento soggettivo della condotta.

L’articolo 42 comma 2 del Decreto Legge n. 18 del 17 marzo 2020 (“Decreto Cura Italia”) ha previsto la copertura Inail per gli assicurati che contraggono un’infezione da coronavirus “in occasione di lavoro”. Un’espressione, quest’ultima, che lascia intendere un’applicabilità della tutela assicurativa anche ai contagi “in itinere” e finanche ai casi di lavoro a distanza. 

L’Inail, dal canto suo, ha precisato nella circolare n. 13 del 3 aprile 2020 che le malattie infettive e parassitarie sono pacificamente inquadrate nella categoria degli infortuni sul lavoro, a cui si debbono pertanto ricondurre anche i casi di infezione da coronavirus.

Il contagio da Covid-19 si qualifica così come un infortunio che, come tale, schiude un potenziale profilo di responsabilità penale per il datore di lavoro che non abbia adottato le misure necessarie a prevenirne il rischio.

Laddove si possa accertare che l’inosservanza delle misure antinfortunistiche sia stata causa di infezione-malattia del lavoratore, il datore di lavoro risponderà dei reati di lesioni personali gravi o gravissime ai sensi dell’art. 590 c.p. (salvo ipotesi di malattia lieve, guaribile in meno di 40 giorni, nel qual caso scatterebbe anche la procedibilità a querela), oppure di omicidio colposo ai sensi dell’art. 589 c.p. qualora al contagio sia seguita la morte.

L’imprenditore nonché datore di lavoro, infatti, è titolare di una posizione di garanzia che discende in primo luogo dall’art. 2087 c.c. e gli impone di tutelare l’integrità fisica dei prestatori di lavoro.

A questa norma generale si affiancano poi le disposizioni previste dal D.Lgs. n. 81/2008 (T.U. Salute e Sicurezza sul lavoro) e, in particolare, dall’art. 18, che pone a carico del datore di lavoro alcuni obblighi specifici tra cui ad esempio:

– fornire ai lavoratori i necessari e idonei dispositivi di protezione individuale;

– informare il più presto i lavoratori esposti al rischio di un pericolo grave e immediato circa il rischio stesso e le disposizioni prese o da prendere in materia di protezione;

– astenersi dal richiedere ai lavoratori di riprendere la loro attività in una situazione di lavoro in cui persiste un pericolo grave e immediato.

C’è poi l’articolo 271 del medesimo Testo Unico, che impone l’obbligo al datore di lavoro di valutare anche il rischio biologico.

È bene ricordare inoltre che trascurare gli obblighi previsti dal D.Lgs. n. 81/2008 sarebbe già di per sé motivo di sanzione penale, in forma di arresto o ammenda, a prescindere dal fatto che si siano verificati o meno degli infortuni. 

Da non ultimo rileva poi l’ancor più esplicito contenuto della recente normativa emergenziale, di cui è esempio l’articolo 2, comma 6, del DPCM 26 aprile 2020, che impone alle imprese le cui attività non sono sospese di rispettare “i contenuti del protocollo condiviso di regolamentazione delle misure per il contrasto e il contenimento della diffusione del virus covid-19 negli ambienti di lavoro sottoscritto il 24 aprile 2020 fra il Governo e le parti sociali”. Vale a dire rispettare, tra le altre, le regole sulle informazioni da fornire ai dipendenti, sulle modalità e gestione degli ingressi e uscite dall’azienda, sull’accesso dei fornitori esterni, pulizia e sanificazione, sulle precauzioni igieniche personali e dispositivi di protezione individuale, sulla gestione degli spazi comuni e organizzazione aziendale, nonché sulla gestione di una persona sintomatica e sulla sorveglianza sanitaria.

Per contro, le imprese la cui attività è stata sospesa dai decreti emergenziali e che ciò nonostante continuano a lavorare in spregio alle misure di contenimento del virus, potrebbero oggettivamente considerarsi in contrasto con le norme cautelari, a prescindere dalle precauzioni adottate al loro interno.

In definitiva, se l’imprenditore o meglio il datore di lavoro investito degli obblighi sopracitati non si attiva per impedire il contagio da coronavirus, allora si profila per lui una condotta omissiva penalmente rilevante ai sensi dell’art. 40 comma 2 c.p. qualora sia possibile ravvisare un nesso di causalità tra la sua inerzia e l’evento-contagio.

Dimostrare che l’infezione sia avvenuta “in occasione di lavoro” è però tutt’altro che semplice.

Si direbbe piuttosto una probatio diabolica, tanto che anche la comunità scientifica non sembra aver ancora sciolto ogni dubbio sulle modalità di contagio ed anche i sistemi di contact tracing, allo studio in questi giorni, non paiono essere in grado di ricostruire con sufficiente certezza le linee di diffusione del virus.

Sul punto anche l’Inail ha fatto sapere nella propria circolare n. 13/2020 che la copertura assicurativa è riconosciuta al lavoratore a condizione che la malattia sia stata contratta durante l’attività lavorativa e che l’onere della prova è a carico dell’assicurato. Fanno eccezione alcune categorie professionali ad elevato rischio, come ad esempio gli operatori sanitari, gli operatori dei front-office, i cassieri e gli addetti alle vendite/banconisti per i quali Inail ha introdotto una presunzione semplice di contagiod’origine professionale, con conseguente inversione dell’onere della prova a carico dei datori di lavoro.

Presunzioni che – almeno in teoria – non potrebbero comunque reggere da sole l’accusa in sede penale, dove vige il principio di presunzione d’innocenza e l’onere della prova è a carico del Pubblico Ministero (art. 27, comma 2, Cost.).

Tuttavia, merita ricordare che la Corte Europea dei diritti dell’uomo (sentenza 7 ottobre 1988 Salabiaku vs. Francia) ha ritenuto che le presunzioni legali possano essere compatibili con la presunzione d’innocenza di cui all’art. 6 CEDU, purché vengano confinate entro limiti ragionevoli ed ammettano la prova contraria, ovvero siano presunzioni semplici. Nello stesso senso si esprime anche il considerando n. 22 della Direttiva UE n. 343 del 9 marzo 2016.

Le presunzioni, semmai, potranno assumere rilievo come indizi e potranno essere adoperate ai fini di prova del nesso di causalità solo se gravi, precise e concordanti, secondo una logica di giudizio controfattuale che consenta di escludere con sufficiente certezza l’esistenza di altre cause di contagio, in ossequio alla necessità di dimostrare la colpevolezza dell’imputato “al di là di ogni ragionevole dubbio” (art. 533 c.p.p.). 

Ai fini della valutazione del nesso causale sul contagio da Covid-19 occorre inoltre considerare che il sito del Ministero della Salute riporta che “il periodo di tempo che intercorre fra il contagio e lo sviluppo dei sintomi clinici varia fra 2 e 11 giorni, fino ad un massimo di 14 giorni”, senza contare che in alcuni soggetti i sintomi potrebbero addirittura non presentarsi del tutto (www.salute.gov.it – FAQ Covid-19).

In un arco di tempo così variabile è probabile che possano interferire anche fattori estranei alla dimensione del lavoro, come ad esempio le fonti di contagio presenti negli ambienti domestici o in altri luoghi, quali i supermercati e le farmacie frequentate dal lavoratore, o ancora il comportamento abnorme ed esorbitante dell’interessato che non osserva con diligenza i protocolli di prevenzione.

Queste considerazioni non devono tuttavia lasciar spazio a comportamenti spregiudicati dei datori lavoro ed anzi quanto più essi trascureranno gli obblighi e le regole precauzionali, tanto più aumenterà la probabilità di ravvisare un nesso causale tra il loro comportamento negligente e il contagio del lavoratore.

Volendo estremizzare questo concetto, nei casi di gravi violazioni delle regole cautelari, si potrebbe addirittura trascendere da una responsabilità omissiva colposa ad un’ipotesi dolosa, quantomeno nella forma del dolo eventuale. Si pensi ad esempio all’imprenditore che non sia ancora adeguatamente attrezzato per riaprire in sicurezza la propria azienda ma che, ciò nonostante, decida di richiamare al lavoro i propri dipendenti per riavviare la produzione confidando che nessuno si contagerà (colpa cosciente) oppure accettando il rischio che tra loro possa diffondersi un contagio (dolo eventuale). Sulla distinzione tra dolo eventuale e colpa cosciente si veda per tutte Cass. Sez. Unite, 24/04/14, n. 38343 caso Thyssenkrupp.

Vale infine una considerazione di buonsenso. Nell’emergenza sanitaria che sta vivendo il nostro Paese, i datori di lavoro sono toccati da una responsabilità morale, prima ancora che giuridica. Consapevoli che solo tutelando gli altri sapranno proteggere anche se stessi.

Fonte : il quotidiano giuridico

IDEE PER COMPRENDERE IL MONDO POST-COVID 19, REPORT MOLTO IMPORTANTE PER TUTTI GLI IMPRENDITORI

Il Board of Innovation è un’organizzazione mondiale che studia le nuove tendenze e fornisce strumenti ed idee per aiutare le aziende a innovare e a crescere. Ha pubblicato un report molto importante in inglese di cui fornisco un riassunto molto operativo riportando, in alcuni casi, esempi italiani. Questo documento è importantissimo per comprendere rischi e opportunità per la propria impresa.

Il report nella sua interezza può essere studiato qui:

https://www.boardofinnovation.com/low-touch-economy/

COMPRENDERE IL MONDO POST COVID 19

L’Imperial College di Londra stima che, a causa del virus, ci saranno per i prossimi diciotto mesi continui alti e bassi nel modo in cui viviamo e lavoriamo. Prima di perder tempo a lamentarti dei governi, è importante che tu, come imprenditore o imprenditrice, comprenda come questi alti e bassi influenzeranno il tuo settore e il modo di vivere delle persone.

IL NOSTRO MONDO SARA’ SOGGETTO A UNA SERIE DI CAMBIAMENTI

Ci saranno alcune regole e limitazioni imposte dai governi che andranno e verranno:

– Limitazioni agli assembramenti

– Restrizioni ai viaggi

– Requisiti sanitari e di igiene

– Protezione dei gruppi vulnerabili (Gli over 65)

– Ecc.

Allo stesso modo ci saranno alcune nuove abitudini e comportamenti iniziati durante i lockdown che rimarranno con noi:

– Lavoro da remoto

– Equilibrio lavoro-vita privata che non esiste più

– Maggior utilizzo dell’e-commerce

– E-Health cioè visite a distanza

Ci saranno diversi after-shock o effetti domino, che oggi non sappiamo quantificare o comprendere davvero. Per esempio:

– 1/3 della popolazione del pianeta oggi è sotto qualche forma di lockdown temporaneo

– Ci sarà un tasso di disoccupazione altissimo, seguito da un gran numero di bancarotte e salvataggi governativi

– Cambi a livello di Geopolitica: alcuni confini rimarranno chiusi e ci saranno nuove leggi animate da xenofobia e populismo.

RITORNARE A UNA (NUOVA) NORMALITÀ NON SARÀ FACILE

Nonostante esistano numerose fonti cinesi che riportano che il virus è sotto controllo, Luxottica Cina nelle ultime sei settimane ha fatte fare quattro settimane di ferie agli operai. La fabbrica è aperta ma gli americani non stanno ordinando…

SI POSSONO GIA’ INTRAVEDERE DEGLI INIZI DI CAMBIAMENTO NEI COMPORTAMENTI DEI CONSUMATORI

In particolare in questo report ne analizzeremo dieci:

1) Ci sarà ancora più ansia/solitudine/depressione

Sfortunatamente molto persone si sentiranno isolate, perderanno il proprio lavoro, si troveranno di fronte alla malattia e potrebbero sperimentare difficoltà relazionali… sperando che queste cose non avvengano tutte insieme.

Che cosa potremmo aspettarci:

Ci sarà un bisogno TREMENDO di terapia e coaching, in alcuni casi anche a distanza. Un amico ha un’azienda in Italia che vende servizi telefonici di supporto psicologico per i dipendenti delle aziende e mi riporta che in questi due mesi hanno fatto fatturati da record. Certe regioni stanno già sperimentando un aumento di richieste per animali domestici e da compagnia.

In tutto il mondo i social games stanno spopolando. Ci saranno dating app su zoom?

2) La fiducia nel livello di salute/igiene delle persone e dei prodotti sarà danneggiata

Già oggi in Cina i runner che fanno le delivery mostrano in tempo reale la loro temperatura corporea.

Con la natura virale del Covid 19, i consumatori e le aziende stanno mettendo sempre più attenzione sulle persone e sui prodotti con i quali interagiscono. Sia le persone che le organizzazioni si aspetteranno una prova EFFETTIVA dello stato di salute/igiene delle persone e dei prodotti con cui entrano in contatto.

Cosa potremmo aspettarci:

Questa tendenza potrebbe risultare in un ripensamento del packaging, la condivisione dei propri dati di salute e della propria temperatura corporea, format nell’hospitality che includano servizi e strumenti aggiuntivi gratuiti focalizzati sulla pulizia, consegne senza contatto umano. I prodotti basati su scienza avanzata potrebbero tornare a essere preferiti rispetto a quelli “naturali”. Sezioni della polizia cinese hanno già adottato elmetti con visiera a infrarossi per riconoscere dal calore corporeo le persone malate.

3) Restrizioni ai viaggi anche all’interno di un singolo Paese.

Le industrie dei viaggi e del turismo hanno probabilmente subito l’impatto maggiore. Viaggiare diventa rischioso per i consumatori che non sanno se riusciranno a ritornare nel proprio paese o se avranno la copertura sanitaria in un paese straniero nel caso in cui avvenga un’altra esplosione dei contagi.

Cosa potremmo aspettarci:

Il turismo locale fiorirà. Potrebbe valere la pena viaggiare all’estero solo per vacanze davvero lunghe che considerino anche un potenziale periodo di quarantena. Il rurale e il remoto potrebbero diventare destinazioni di lusso.

4) Lavoro ottimizzato da casa rispetto a tipico lavoro da ufficio

La casa acquista un significato completamente nuovo mentre le famiglie e gli individui cercano nuovi sistemi per bilanciare le loro necessità personali-lavorative entro i confini dei loro spazi.

Cosa potremmo aspettarci:

Le aziende che hanno poca liquidità ridurranno gli uffici e le proprie infrastrutture.

Aspettiamoci “uffici casalinghi” che vadano ben oltre un secondo schermo. Le persone porteranno in casa equipaggiamenti e strumenti speciali e sistemi audio video avanzati e integreranno questi cambiamenti nel proprio stile di vita.

Le aziende avranno bisogno di stabilire nuove policy interne che regolamentino tutto questo (opportunità per i consulenti) e le assicurazioni dovranno porsi il problema di come trattare gli incidenti sul lavoro “domestici”.

5) Tensioni e conflitti aumenteranno a tutti i livelli

Molte aziende ed individui stanno lottando per cercare di sopravvivere. Nel tentare di farlo molti violeranno contratti e non rispetteranno le regole.

Cosa potremmo aspettarci:

Le tendenze di ricerca di Google già mostrano una forte crescita della ricerca del termine “Forza Maggiore”. Battaglie legali saranno all’ordine del giorno e nello stesso momento gli avvocati inizieranno a migrare a una modalità di lavoro digitale.

6) Ci saranno livelli di disoccupazione mai visti prima

Molti saranno forzati a ripensare le loro carriere in quanto anche il passare a un’azienda concorrente nello stesso settore che è a sua volta è in forte difficoltà, non sarà considerata un’opzione viabile.

Cosa potremmo aspettarci:

La formazione da remoto per riskillare e formare le persone avrà una forte crescita. Allo stesso tempo molti impiegati potrebbero decidere di avviare anche un’attività imprenditoriale part time mentre tengono il loro lavoro in modo da integrare il budget familiare. Opportunità per il network marketing e per chi propone attività da svolgere da casa.

7) Asporto e delivery dappertutto

Molti negozianti e distributori di prodotto dovranno inserire la delivery e gli acquisti da remoto. Il commercio al dettaglio non scomparirà ma evolverà.

Cosa potremmo aspettarci:

Aspettiamoci che arrivino soluzioni sempre più specializzate per la delivery (per esempio punti di drop off per cibi congelati o rinfrescati) o anche negozi che si mettono assieme per fare più deliveries nella stessa strada o casa.

8) Contatto limitato con le vecchie generazioni

Fino a quando un vaccino non sarà reso disponibile, le interazioni con le persone di oltre 65 anni saranno severamente vietate o sconsigliate. Le persone e le aziende dovranno ripensare i ritrovi sociali o le occasioni come le feste e i matrimoni.

Cosa potremmo aspettarci:

Accelererà l’adozione digitale a tutte le età. Le cerimonie e i riti verranno tagliati e fatti con un minor numero di persone. La Formula Uno ha già iniziato a investire sugli e-sports con piloti reali che competono online.

9) La nostra identità è più del nostro lavoro

Per molti anni abbiamo considerato la nostra professione e il nostro ruolo come una parte significativa di chi eravamo. Il fatto di mischiare il lavoro e la vita privata in parte rompe questo schema. Molti di noi stanno iniziando a conoscere davvero i nostri colleghi per la prima volta, a furia di zoom dalla loro camera da letto.

Che cosa potremmo aspettarci:

In tempi normali la moda è un elemento per dare forma e comunicare la nostra identità preferita. Quando ci sarà meno interazione fisica, si potrebbe ottenere un effetto simile alterando la propria interazione video (nota come già oggi, su Zoom, molte persone stiano customizzando il proprio sfondo). Ci saranno più esperimenti con una sorta di digital alter ego.

10) Il valore di clienti “certificati immuni”

Se il tuo business ha a che vedere con assembrare molte persone in spazi limitati (crociere, cinema, teatri, eventi, festivals, ecc) non c’è luce alla fine del tunnel.

Cosa potremo aspettarci:

L’arrivo di tavoli o cabine per mangiare da soli o che non necessitino dell’interazione umana (per esempio: camerieri robot) saranno una soluzione temporanea che potrebbe impattare fortemente sulla marginalità dei ristoratori o degli organizzatori di feste. Un modo per uscire da questo paradigma di isolamento potrebbe essere la nascita di un nuovo segmento di mercato: quello di clienti che possano provare il proprio stato di salute come immuni. Una sorta di quello che è già successo nell’industria del porno dove gli attori devono presentarsi con le proprie analisi del sangue. Ci saranno aziende che faranno marketing solamente a questa tipologia di clienti immuni? Difficile a dirsi anche per le grandi difficoltà dal punto di vista della privacy.

In generale ci aspettiamo grandi impatti su tutte le aziende il cui business si basi su una o più delle seguenti caratteristiche:

a) I grandi assembramenti sono essenziali

b) L’interazione umana da vicino è essenziale

c) La percezione dell’igiene o dello stato di salute legato a quel business è molto importante

d) Dipendono dai viaggi (di business o di piacere)

e) Erogano servizi o prodotti che possono essere posposti o di cui si potrebbe anche fare a meno.

Più caratteristiche tra a) a e) ha il tuo business, più sarà influenzato nel post covid.

COSA DOVRESTI FARE ORA:

Esistono tre possibili scenari per questa crisi:

– Uno scenario a “V” dove l’impatto del virus finisce entro sei mesi e i governi riescono a mettere l’epidemia sotto controllo e con gli stimoli economici riavviano l’economia. Questo scenario nonostante sia ancora possibile, man mano che passa il tempo diventa sempre meno probabile.

– Uno scenario a “U” dove il recupero richiede 1,5 anni e include per un periodo esteso il mantenimento della distanza di due metri tra le persone con gli stimoli economici dei governi che in parte riducono i danni.

– Uno scenario a “L” dove la ripresa richiede 3 anni. Questo scenario include un severo peggioramento dell’economia con fallimenti da parte degli Stati nel controllare l’epidemia e bancarotte e insolvenze a ripetizione tra le aziende. Questo scenario, appunto, richiederebbe tre anni prima di manifestare una ripresa.

Sulla base di quale di questi tre scenari ritieni più plausibile e dell’impatto che ti aspetti sulla tua organizzazione (i punti da a) a e) di cui sopra) dovresti provare a costruire una strategia.

Essa dovrebbe includere una parte DIFENSIVA (mitigare i rischi da un punto di vista di protezione della salute dei tuoi collaboratori e clienti, i rischi operativi e dal punto di vista finanziario per l’azienda). Nel caso in cui la tua azienda per i punti da a) a e) fosse in una situazione tale da subire forti impatti negativi e tu ti aspettassi uno scenario a “U” o a “L” dovresti cominciare a pensare o a una exit strategy o a un nuovo modo di generare il valore.

Una volta che hai messo i rischi sotto controllo dovrebbe poi esserci una parte OFFENSIVA in quanto industrie o settori che sono stati stabili per una decina di anni diventeranno aperti all’aggressione da parte di outsiders. Alibaba, per esempio, è esplosa durante l’epidemia di Sars del 2002. Per fare questo dovresti:

– Comprendere la nuova economia e le opportunità di crescita che porterà

– Sviluppare una strategia su come battere i concorrenti

– Pianificare o iniziare a migrare verso lo sviluppo di prodotti/servizi/approcci al mercato o modelli di business differenti.

– Investire in aree ad alta potenzialità di crescita, una volta individuate

– Fare piani di fusione o alleanza

– Investire in innovazione e ricerca e sviluppo.

Nel caso in cui tu ti trovassi in un settore fortemente influenzato da queste nuove tendenze sarebbe opportuno un completo ripensamento del valore.

Nonostante metta in luce anche molti potenziali rischi, ritengo che questo report metta in luce anche diverse opportunità per chi saprà cavalcare la crisi e reinventarsi rapidamente.

Come in ogni faccenda della vita, anche la crisi legata al Covid 19 in ultima analisi darà modo agli imprenditori visionari e dotati delle migliori risorse umane di conquistare opportunità straordinarie mentre forzerà quelli che sono rimasti indietro a ripensare drasticamente le loro strategie.

Fonte: Paolo Ruggeri OSM Management

Cimbri: «Italia come il Ponte Morandi Serve una ricostruzione rapida»

“La situazione straordinaria richiede a tutti di procedere in modo nuovo. È il tempo del pragmatismo, non di ragionare per indici, parametri, teorie. E questo vale sia per gli Stati sia per le imprese, in primo luogo quelle finanziarie”Carlo Cimbri è amministratore delegato di Unipol e presidente della controllata UnipolSai, la prima compagnia di assicurazioni danni italiana. Il gruppo ha deliberato nei giorni scorsi una donazione di 20 milioni per far fronte all’emergenza sanitaria del coronavirus, fondi che saranno impiegati per acquistare attrezzature e contribuire a realizzare nuove strutture ospedaliere, anzitutto nelle zone più colpite: Lombardia ed Emilia Romagna. «Nel più breve tempo possibile: il che significa senza che la burocrazia crei ostacoli e rallenti i lavori».

Da top manager finanziario quale ritiene sia il problema economico principale oggi?

«In questo momento la dotazione di liquidità. È necessario irrorare il sistema di liquidità. Il blocco, inevitabile, della mobilità di persone e merci scatena un drastico stop ai consumi. Imprese e commercio non incassano ma devono pagare, sostenere costi, versare gli stipendi

Bce e Ue stanno facendo abbastanza? 

«Dopo alcuni tentennamenti mi sembra si vada nella giusta direzione. L’Europa ha capito che la crisi sanitaria non è un problema solo italiano, come poteva sembrare inizialmente. Riguarda tutti. E che è necessario inondare il sistema di liquidità. Quindi ha proceduto con il “Whatever it takes” in modo nuovo: oltre a lanciare uno straordinario quantitative easing, ha deliberato la sospensione del Patto di stabilità. Decisioni storiche, ma guardi che ciascuno, nel proprio perimetro e territorio, ha dovuto procedere in questo modo. Compresi noi». 

Cioè?

«Abbiamo una rete di 3 mila agenzie con 10 mila punti vendita: tutti piccoli imprenditori che vivono sugli incassi da cui ricavano le provvigioni. Ma ora premi e dunque provvigioni hanno registrato un calo e loro non hanno flussi sufficienti per sostenere i costi. Lunedì 23 marzo presenteremo agli agenti un programma di sostegno finanziario a tasso zero con tempi di rientro che partiranno dal prossimo anno e che consentirà loro di superare le presenti difficoltà». 

Quanto stanzierete? 

«Noi integreremo i flussi che dovessero mancare dalle provvigioni. Nell’ipotesi, solo teorica, che la produzione dovesse azzerarsi, si tratterebbe di circa 100 milioni al mese». 

Quando si potrà intravedere una ripresa? E come? 

«Non sappiamo quanto durerà la situazione, e abbiamo una sola certezza: per la ripresa saranno necessari straordinari e massicci investimenti pubblici. I governi, nessuno escluso, devono e dovranno usare i propri bilanci. Nessuno però regala i soldi: ciò significa che aumenterà il debito pubblico e gli Stati dovranno emettere bond che qualcuno dovrà sottoscrivere». 

A chi si riferisce?

«Un ruolo chiave lo avranno le istituzioni finanziarie, cioè in primo luogo noi, assicurazioni e banche. E poiché sarà un problema generale, non limitato a un solo Paese, ciascuna nazione dovrà farà conto in primo luogo sul proprio settore finanziario. Saremo chiamati a sottoscrivere titoli di debito pubblico ma non solo: sarà necessario anche sostenere le imprese industriali e dell’energia private e di Stato, con liquidità e con interventi su equity e bond».

Ma banche e assicurazioni ce la faranno? 

«Ecco la necessità del pragmatismo: occorre flessibilità su indici e parametri di vigilanza. È importante che i meccanismi regolatori non ci penalizzino frustrando la possibilità di sostenere l’economia. Le banche non falliscono per Npl, i crediti deteriorati, ma se non hanno liquidità. E le compagnie non falliscono perché i titoli che hanno in pancia sono valutati a fair value, ma quando gli impegni verso gli assicurati hanno orizzonti temporali e quindi scadenze non allineate rispetto a quelle degli asset».

A proposito di fair value: i valori in Borsa sono crollati. 

«Paura e incertezza producono movimenti irrazionali: i crolli hanno portato gli asset, non solo da noi, a valori che non rappresentano quelli reali». Però ciò comporta, da noi forse più che altrove, il rischio che le imprese diventino preda. «Certo, a questi valori anche noi potremmo immaginare di cogliere opportunità sul mercato, cosa che tuttavia non intendiamo fare. Si figuri colossi internazionali che dispongono di ingenti risorse se non guardano anche alla realtà italiana, la più penalizzata per il momento». 

Il governo metterà in campo misure per impedire che l’Italia, in particolare quella quotata, diventi preda. 

«È necessaria oggi una tutela pubblica, una specie di golden power, per i nostri asset più strategici. Ritengo che la prima cosa necessaria sia una loro individuazione: diversamente, estendere l’iniziativa a tutte le società quotate in Borsa significherebbe negare il mercato». 

Quali potrebbero essere i settori strategici? 

«L’industria della difesa…» 

…dove le società valgono ora meno delle commesse. 

«Esatto, e poi energia, trasporti, telecomunicazioni, infrastrutture, risparmio, finanza. In tempi come questi è indispensabile salvaguardare la nazionalità di alcune produzioni e di alcuni servizi. Le faccio un esempio di casa nostra: quando ancora in Italia il virus era nella prima fase del contagio, verso fine febbraio, abbiamo acquistato all’estero alcuni ventilatori e respiratori artificiali. Ieri mi hanno comunicato che la consegna è stata bloccata per necessità nazionali». 

Ma così non si rischia di fare ulteriori passi indietro in Europa? 

«Direi piuttosto che l’Europa è a un bivio: o si va verso gli Stati Uniti d’Europa o questa Europa serve poco a tutti».

Tutele governative a parte, sono necessari consolidamenti? 

«Noi abbiamo proceduto con la fusione con Fondiaria-Sai e ora partecipiamo all’operazione Intesa-Ubi e Bper, come potrei risponderle di no?» 

La prima cosa da fare in Italia perché possa ripartire? 

«Un piano assimilabile alla ricostruzione del Ponte Morandi, con un iter svincolato da burocrazia eccessiva. Per riconquistare una produttività perduta da tempo».

Fonte: corriere della sera

Autore Sergio Bocconi

IMPORTANTE! UNO SGUARDO AL FUTURO: CHE COSA SUCCEDE IN CINA OGGI, MENTRE LA CRISI CORONAVIRUS SI AVVIA ALLA SOLUZIONE

Ana Michel Candelario di OSM Partner Reggio Emilia, assieme a Simona Lodolo consulente aziendale che vive da diversi anni a Shangai, hanno compilato una guida su quello che sta succedendo OGGI in Cina, dopo l’emergenza Coronavirus. Comprendere quanto è descritto in questa guida è di vitale importanza perché ci fa capire che molte delle attività che oggi sono ferme, non torneranno mai più alla normalità.

Ecco il testo del loro report:

TENDENZE DI ACQUISTO IN CINA DURANTE IL COVID 19

Le misure Cinesi sul contenimento del COVID-19 sono state perentorie per due settimane.

Questa scelta ha permesso di accelerare in maniera importante il ritorno alla vita “normale”.

Durante la quarantena, le aziende si sono concentrate su:

– E-commerce

– Implementazione di piattaforme streaming (film , telefilm , serie tv ecc.)

– Comunicazione attraverso i social media (tik tok, we chat) in particolare per fare tutorial ,formazione on-line, mini video

– Delivery: Il settore Food& beverage, si è specializzata nella consegna a casa e prenotazioni on-line.

– E’ cresciuta anche la vendita di prodotti surgelati.

– Il settore dei prodotti cosmetici è cresciuto.

Le donne avendo più tempo si sono dedicate a farsi degli auto trattamenti estetici, in particolare: maschere per il viso, trattamenti urto fai da te, fanghi, nail art ecc..

Tendenzialmente, le aziende hanno cercato di continuare a mantenere i contatti con i clienti.

In Cina, le persone utilizzano molto il telefono e fanno quasi tutto con device, es: Acquisti on-line, uso tv streaming, prenotazione e acquisto di cibo o altri beni/servizi.

SITUAZIONE ATTUALE IN CINA

A partire dal 10 Febbraio 2020 la gente è tornata alla quasi “normalità” ed esce. A Shanghai ci sono 25 casi confermati e i nuovi casi che si stanno verificando sono prevalentemente “importati”.

Gli Italiani o cinesi che rientrano sono obbligati a stare 14 giorni in quarantena presso un hotel che viene messo a disposizione dello stato per chi rimpatria.

Le persone quando escono e frequentano le aree pubbliche si mettono tutti la mascherina. Tutti i ristoranti e negozi sono aperti.

Al supermercato ci sono tantissime offerte multiple (es .3×2) per smaltire le scorte. In generale, la gente ha voglia di uscire ed è tornata a spendere ma evita gli assembramenti.

Al cinema non ci vanno. Al ristorante ci vanno ma i ristoratori sono obbligati a tenere la distanza di sicurezza di 1mt tra un tavolo e l’altro e il numero di persone a tavola dev’essere limitato.

Le aziende sono aperte. Alcune full time, mentre altre solo part time.

A Wuhan hanno ripreso la produzione ma le norme da rispettare per il personale interno sono molto severe. I dipendenti prima di entrare in azienda sono obbligati a provare la febbre, mettere le mascherine e i guanti. Le funzioni d’ufficio non indispensabili per il proseguimento dell’attività produttiva (sales, marketing, account) lavorano da casa con smart working.

Tutti i dipendenti devono fare un’autocertificazione in cui dichiarano che negli ultimi 14 gg non sono stati in una zona a rischio.

Le aziende che hanno la mensa interna sono obbligate ad avere dei separé che divide fisicamente una persona dall’altra.

I ristoranti sono aperti anche se hanno limitazione di orari, per esempio le aperture fino alle 3a.m. non sono consentite. Rimane comunque sempre attivo il servizio delivery. Le persone si sono abituate ad ordinare on-line.

Le scuole non sono ancora riaperte, i ragazzi stanno facendo le lezioni in e-learning.

CAMBIO ABITUDINI A BREVE TERMINE:

Le persone si sono abituate a gestire molti aspetti della quotidianità con l’aiuto della tecnologia.

Molti appuntamenti o riunioni di gruppo si evitano e si cerca di evitare gli assembramenti di persone. Tutto questo sia per a scopo preventivo sanitario che per ragioni di impatto ambientale e di stile di vita.

La prevenzione sarà una leva molto importante e sono già state adottate nuove misure in questo senso.

Per esempio, quando qualcuno ha o avrà un raffreddore sarà obbligato a mettere sempre la mascherina. Potrà accadere che I supermercati si attrezzino per fornire per fornire il delivery gratuito agli anziani o ai più deboli di salute. Le mascherine dovranno essere fornite in dotazione gratuita a tutte le persone che entreranno nei supermercati o ipermercati.

Le scuole implementeranno le piattaforme di e-learning. In generale si cercherà di evitare raggruppamenti di un grosso numero di persone.

I ragazzi, se si ammaleranno, dovranno obbligatoriamente stare a casa e le scuole saranno in grado do fare comunque lezione da remoto.

Nei posti di lavoro ci saranno dei sistemi di pre-accesso con check up sanitario. Verrà misurata la temperatura corporea e verranno forniti come dispositivi obbligatori mascherina e guanti e forse anche altro.

La sanificazione diventerà obbligatoria con cadenza sistematica.

CONSIDERAZIONI SU POSSIBILI SCENARI FUTURI:

Questa esperienza ci cambierà. Il business dovrà diventare sempre più globale e diversificato.

Impareremo che in maniera alternata i business e mercati potranno essere compromessi.

Nell’eventualità in cui un paese si fermi, dovremo essere pronti ad avere un business /paese attivo.

I mercati sono interconnessi e mentre ho la spia rossa su un paese potrà accadere che su un altro ho la spia verde che mi permetterà di continuare a crescere e prosperare.

L’esperienza della Cina con la sua case history di successo può diventare un “know-how” che oggi trasferiscono agli italiani e domani gli italiani trasferiranno ad altri paesi. I manager cinesi si stanno muovendo per studiare delle soluzioni per fare ripartire le aziende. Faremo lo stesso anche noi.

I manager dovranno scambiare e importare conoscenza volta alla sopravvivenza e alla diversificazione.

Lo smart working / smart life diventerà la normalità.

Molte delle attività che oggi facciamo pagati ad ore svaniranno e verremo valutati sui risultati.

L’hospitality e le ferie non prevederanno le massa. Le ferie dovranno essere spalmate durante tutto l’anno per evitare grossi raggruppamenti di persone. Questa sarà una nuova grande opportunità per il settore.

Gli ingressi e le uscite dovranno essere più programmabili , probabilmente verranno prese delle misure per evitare il turismo di massa in certi periodi dell’anno.

A meno che non venga trovato un vaccino, niente tornerà più come prima.

Fonte ; Paolo Ruggeri – OSM