SETTORE TESSILE:Copertura assicurativa D&O ( Directors & Officers )

Desideriamo fare un po’ di luce su una copertura assicurativa sempre più spesso nominata ma ancora troppo poco conosciuta nei suoi meccanismi operativi.

La cosiddetta D&O , si affaccia sul mercato nel momento in cui viene sentita l’esigenza da parte delle Società di Capitali di “proteggere” per danni patrimoniali a terzi i propri organi dirigenziali . A tale domanda ha fatto seguito un’offerta da parte delle Compagnie di Assicurazione soprattutto Americane o comunque con mentalità anglosassone che hanno predisposto una polizza ad hoc per la tutela di tale rischio aziendale .

Tutto nasce dall’attuazione della delega di cui all’art. 11 della Legge 29 settembre 2000 n. 300; in data 8 giugno 2001 è stato emanato il Decreto legislativo n. 231, con il quale il Legislatore ha adeguato la normativa interna alle convenzioni internazionali in materia di responsabilità delle persone giuridiche. Il Decreto, relativo alla “Disciplina della responsabilità amministrativa delle persone giuridiche, delle società e delle associazioni anche prive di personalità giuridica”, ha introdotto nell’ordinamento giuridico italiano un regime di “responsabilità degli Enti  – ( da intendersi come società, associazioni, consorzi, ecc., ; restano esclusi da tale responsabilità lo Stato, gli enti pubblici territoriali, gli altri enti pubblici non economici nonché gli enti che svolgono funzioni di rilievo costituzionale ) – per gli illeciti amministrativi dipendenti da reato”.  Ai sensi dell’art. 5 del Decreto, pertanto , gli Enti sono responsabili per i reati commessi nel loro interesse o a loro vantaggio: da persone fisiche che rivestano funzioni di rappresentanza di amministrazione o di direzione degli Enti stessi o di una loro unità organizzativa dotata di autonomia finanziaria e funzionale, nonché da persone fisiche che esercitino, anche di fatto, la gestione e il controllo degli Enti medesimi , oppure da persone fisiche sottoposte alla direzione o alla vigilanza dei soggetti apicali . Occorre precisare che la responsabilità dell’Ente si aggiunge a quella penale della persona  fisica  che ha commesso il reato-presupposto. Affinché si realizzi la fattispecie prevista dal D.Lgs 231/2001 devono sussistere contemporaneamente i seguenti elementi: i soggetti collettivi coinvolti devono essere individuati tra quelli indicati nell’art. 1 del Decreto; il reato-presupposto deve essere commesso nell’interesse o a vantaggio dell’ente;  l’autore del reato-presupposto deve avere una relazione qualificata con l’ente, come previsto nell’art. 5 del D.Lgs 231/2001 .

Circa le Sanzioni . Il sistema sanzionatorio è costituito da sanzioni pecuniarie che vengono determinate con il sistema delle quote previsto dall’art. 11 del  Decreto ( le quote possono variare da un minimo di 100 ad un massimo di 1.000 ed il valore di ogni quota può variare da un minimo di Euro 250,23 ad un massimo di Euro 1.549,37) oppure da sanzioni interdittive oppure da confisca .

Va evidenziato che l’intervento del legislatore non è soltanto quello di prevedere una responsabilità diretta per gli Enti, ma anche e soprattutto quello di indurli a dotarsi di una effettiva governance che sia efficace contro i reati , principio che viene assolto attraverso l’adozione del Modello di Organizzazione e Gestione. 

L’adozione del Modello dovrebbe quindi rispondere allo scopo primario di prevenire il compimento dei reati oltre, ovviamente, a quello di ottenere l’esonero da responsabilità per l’ente, nel caso in cui fossero stati commessi reati-presupposto.

L’organo amministrativo/gestorio è tenuto a definire le linee di indirizzo del sistema di controllo interno affinché i principali rischi siano correttamente identificati ed adeguatamente misurati, gestiti e monitorati, determinando i criteri di compatibilità di tali rischi con una sana e corretta gestione dell’impresa.Solo in presenza dell’individuazione di linee di responsabilità chiare e precise, presupposto della organizzazione interna dell’impresa, l’assetto può definirsi adeguato. In sintesi, pertanto , il Modello, per essere considerato idoneo, deve evidenziare gli esiti dell’analisi dei rischi, in modo tale da individuare le attività dell’ente che possano dare origine alla commissione dei reati-presupposto; indicare le misure di prevenzione  riguardanti le modalità di svolgimento dell’attività e controllo, che devono essere svolte dall’Organo di Vigilanza ; prevedere obblighi di informazione ed un sistema disciplinare in grado di sanzionare il mancato rispetto delle misure organizzative e delle procedure interne; prevedere l’attività di aggiornamento.

L’organo amministrativo , inoltre , è tenuto a definire le linee di indirizzo del sistema di controllo interno affinché i principali rischi siano correttamente identificati nonché adeguatamente misurati, gestiti e monitorati, determinando i criteri di compatibilità di tali rischi con una sana e corretta gestione dell’impresa , in sintesi la mapping risk che deve prevedere il RISCHIO ESTERNO ( quello cioè provocato da eventi esogeni all’azienda ) , il RISCHIO INTERNO che dipende da fattori endogeni , il RISCHIO INERENTE e cioè quello  ipotizzabile in assenza di qualsiasi attività di controllo della gestione del rischio stesso ed infine il RISCHIO RESIDUO che è il rischio che rimane in capo all’impresa successivamente alla messa in atto delle azioni mitigatrici. Per concludere l’argomento Modello di Organizzazione ex D.Lgs 231/2001 , possiamo definire un Modello efficace ed efficiente come  processo di risk management consistente nel monitoraggio continuo dei rischi aziendali relativi all’attività svolta in correlazione con l’efficace attuazione dei protocolli previsti dal Modello. La mancata osservanza di tutto quanto stabilito dalla Legge , presuppone dei PROFILI PENALI DELLA RESPONSABILITÀ in capo all’Organo di Vigilanza preposto . Fermo restando il generale dovere di vigilanza sull’attuazione e sul funzionamento del Modello dell’Organismo e l’impossibilità per l’ente di beneficiare dell’esonero dalla responsabilità nel caso in cui sia stata omessa tale specifica vigilanza da parte dello stesso Organismo, sembra opportuno effettuare alcune considerazioni relative all’eventuale insorgere di una responsabilità penale in capo all’Organismo di Vigilanza in caso di commissione di illeciti da parte dell’Ente a seguito del mancato esercizio del potere di vigilanza. La fonte di detta responsabilità potrebbe essere individuata nell’art. 40, co. 2, cod. penale e, dunque, nel principio in base al quale ‘non impedire un evento, che si ha l’obbligo giuridico di impedire, equivale a cagionarlo’. Sulla base di questa impostazione, l’Organismo di Vigilanza potrebbe risultare punibile a titolo di concorso omissivo nei reati-presupposto commessi dai soggetti di cui all’art. 5, lett. a e b. del D.Lgs 231/2001 nell’interesse o a vantaggio dell’ente, a seguito del mancato esercizio del potere di controllo sull’agire ‘illecito’ di detti soggetti. Al riguardo, però, è opportuno tenere presente che l’obbligo di vigilanza sull’attuazione e sul funzionamento del Modello – obbligo appunto incombente sull’Organismo di Vigilanza – non comporta di per sé l’obbligo di impedire il reato-presupposto: esso, con la responsabilità penale che ne deriva ai sensi del citato art. 40, co. 2, cod. penale, sussiste solo quando il destinatario è posto nella posizione di garante del bene giuridico protetto. Dalla lettura complessiva delle disposizioni che disciplinano l’attività e gli obblighi dell’Organismo di Vigilanza si evince che ad esso siano devoluti compiti di controllo non in ordine alla realizzazione dei reati, ma al funzionamento, alla potenzialità preventiva, alla tenuta ed all’osservanza del Modello da parte dei destinatari dello stesso, curandone, altresì, l’aggiornamento e l’eventuale adeguamento ove vi siano modificazioni degli assetti aziendali di riferimento, non competendo però appunto ai compliance officers funzioni operative effettive o potenzialità concrete ‘di contrasto’ circa la realizzazione dei reati-presupposto alle quali possano ricollegarsi poteri di intervento tali da fondare una posizione di garanzia e da consentire ai componenti del medesimo di disporre di un reale potere di ingerenza-interferenza nella condotta criminosa altrui. A differenza di altri organi sociali, i compiti dell’Organismo si caratterizzano per una sostanziale assenza di poteri impeditivi, non ultimo evidenziandosi come l’Organismo non possa neppure modificare, di propria iniziativa, i modelli esistenti, assolvendo, invece, un compito consultivo della Direzione aziendale/Organi delegati cui compete il potere di modificare i modelli. Tale situazione non muta con riferimento ai delitti colposi realizzati con violazione delle norme in materia di salute e sicurezza sul lavoro. Anche in questo caso l’Organismo di Vigilanza non ha obblighi di controllo dell’attività, ma doveri di verifica della idoneità e sufficienza dei Modelli organizzativi a prevenire i reati. Giova infine rilevare che laddove il Modello Organizzativo non esista o comunque non sia stato adottato in maniera efficace, configurandosi come un’entità meramente fittizia, e, come tale, inidonea a creare obblighi in capo a coloro che sono tenuti a vigilare sul suo rispetto, non sussisterebbe alcun profilo di responsabilità dell’Organismo di Vigilanza. Chiaramente la circostanza che i componenti dell’Organismo di Vigilanza non rivestano la qualifica soggettiva richiesta dalle singole fattispecie penali come individuate da ciascun reato-presupposto,  non esclude che costoro possano concorrere nel reato commesso dagli amministratori e/o dai dirigenti dell’ente/società, quando abbiano intenzionalmente favorito la condotta delittuosa di questi ultimi. In tali casi, infatti, il/i componente dell’Organismo di Vigilanza, pur non rivestendo la qualifica soggettiva  richiesta dalle singole fattispecie penali, coopera fattivamente nell’azione criminosa con altro soggetto che risulta titolare di quella qualifica giuridica e dunque partecipa, in qualità di cosiddetto extraneus, alla violazione dei precetti di cui agli artt. 317 ss. c.p. e di tali reati dovrà rispondere. Ed in effetti, il D.Lgs 231/2001 non attribuisce all’Organismo di Vigilanza poteri di intervento impeditivi nei confronti di comportamenti irregolari o illeciti e poteri disciplinari e sanzionatori diretti, che presuppongono l’esercizio di un’autorità sui comportamenti altrui all’interno e all’esterno dell’impresa, ma si limita ad indicare le modalità organizzative e le condizioni in presenza delle quali la società può andare esente da responsabilità amministrativa, nel caso di commissione di un reato presupposto da parte di un suo amministratore o dirigente. Va dunque ribadito che l’Organismo di Vigilanza non ha alcun compito di impedire i reati, ma quello di concorrere a realizzare i presupposti per la sussistenza della condizione esimente di cui all’art.6 D.Lgs 231/2001 . l’Organo di Vigilanza ha però anche dei PROFILI CIVILI in capo alla 231/01. Nel nuovo quadro normativo gli artt. 2381 e 2403 c.c. (come riformulati dal D.Lgs 6/2003 di riforma del diritto societario) hanno creato, in sostanza, la saldatura tra il sistema della responsabilità esterna (e cioè della società nei confronti del mondo esterno, per i reati commessi dai suoi amministratori) ed il sistema della responsabilità interna (degli amministratori nei confronti della società e degli altri soggetti danneggiati dai predetti comportamenti). E’ infatti incontestabile che l’applicazione di una sanzione conseguente all’accertamento di una responsabilità dell’ente, in caso di commissione di uno dei  reati presupposto previsti dal D.Lgs 231/2001, costituisce una lesione degli interessi della società e dei soci (e, potenzialmente, anche dei creditori sociali e dei terzi, nel caso in cui, per esempio, la società sia sottoposta a pene interdittive dell’attività, o addirittura alla liquidazione coattiva). Ne consegue che l’applicazione della sanzione comporterà la necessità di valutare se il danno derivato alla società (nonché ai soci, ai creditori, ecc…) sia imputabile (sotto il profilo causale) ad un inadempimento, da parte degli amministratori e dei sindaci, ai doveri di controllo loro attribuiti dagli artt. 2381 e 2403 c.c. sopra richiamati . E’ opinione maggioritaria  che l’ente condannato ex D.Lgs 231/2001 per responsabilità ‘da reato’ possa esperire azioni civili intese a conseguire, da coloro che ne hanno creato i presupposti, il risarcimento del danno economico conseguente alla condanna; fra questi  soggetti, oltre agli amministratori, i sindaci  e gli altri organi sociali deputati alla gestione ed al controllo, si può annoverare l’Organismo di Vigilanza qualora sia provato che lo stesso non ha vigilato in modo diligente sul funzionamento e sull’osservanza del Modello di Organizzazione e gestione. E’ anche importante segnalare che  l’omessa predisposizione di un adeguato Modello Organizzativo e gestorio è stata recentemente ritenuta un valido presupposto per la condanna dell’amministratore di società a risarcire  “….dei danni da quest’ultima subiti in connessione con l’omessa adozione di un adeguato Modello Organizzativo …” . Questione annosa e dibattuta è quella relativa alla COMPATIBILITÀ DEL COLLEGIO SINDACALE QUALE ORGANISMO DI VIGILANZA in relazione alla possibilità che il Collegio Sindacale potesse, nella sua totalità, essere investito dell’ulteriore funzione di controllo propria dell’Organismo di Vigilanza ex D.Lgs 231/2001, mentre, in ordine alla possibilità che i singoli componenti del collegio sindacale potessero far parte dell’Organo di Vigilanza , è stato evidenziato che nulla sembra impedire ai sindaci l’assunzione di tali incarichi, in considerazione del fatto che il sindaco è soggetto in possesso ex lege dei requisiti di onorabilità e professionalità richiesti ai componenti dell’Organo di Vigilanza  dai codici di comportamento redatti, a ‘sensi di legge’, dalle associazioni di categoria. 

COME E’ POSSIBILE , DAL PUNTO DI VISTA ASSICURATIVO PROTEGGERSI CON ESCLUSIONE DEL CASO COMPROVATO DI DOLO .

Nonostante la riforma del diritto societario in Italia porti data 2003, solo negli ultimi anni la polizza dedicata agli amministratori di società di capitali ha preso piede in modo deciso nel nostro paese. Se in precedenza il focus era limitato alla responsabilità dell’amministratore, operante secondo riforma con la diligenza specifica richiesta dalla natura dell’incarico, oggi le polizze di questa tipologia vedono allargare i propri orizzonti di copertura con nuove garanzie che rivestono carattere di sicuro interesse per amministratori ed imprenditori. La copertura vale per le richieste di risarcimento per danni patrimoniali cagionati a terzi a seguito di atti, errori od omissioni quando e nella misura in cui le persone agiscono in nome e per conto della società esercitando le loro funzioni di direzione, restando esclusi i revisori contabili esterni e eventuali organi di procedure legate ad insolvenza. Definita l’operatività della garanzia  è possibile comprendere la vastità tematica che interessa  tale polizza, soprattutto considerando che dalla riforma del diritto societario avvenuta in Italia nel 2003 gli amministratori di società di capitali sono tenuti ad operare con “la diligenza specifica richiesta dalla natura dell’incarico” e non più con la semplice diligenza del mandatario. La polizza prevede il risarcimento per danni patrimoniali richiesto da un terzo (o dall’azienda stessa nel caso di un’azione sociale di responsabilità promossa nei confronti di un amministratore) ma non è l’unica fonte di danno.  La polizza NON tutela l’Azienda – che come entità giuridica NON può fisicamente commettere un fatto illecito – ma le PERSONE FISICHE coinvolte nel/i danno/i  che rispondono ILLIMITATAMENTE CON IL PROPRIO PATRIMONIO PERSONALE . Tale esigenza è nata dal fatto che l’ opinione pubblica e gli azionisti delle aziende  , negli ultimi anni , hanno richiesto alle autorità, maggiori regole e vigilanza sugli organi di gestione e di controllo delle società di capitali; il legislatore  ha reagito creando un adeguato quadro normativo in materia societaria a tutela dei soci, e di tutte le controparti finanziarie, istituzionali e commerciali della società, ampliando le competenze richieste a sindaci, amministratori e dirigenti, ponendo a loro carico maggiori responsabilità, e accrescendo i rischi a cui dirigenti aziendali sono esposti quotidianamente (ad esempio D.Lgs 6/2003, D.Lgs 231/2001, D.Lgs 262/2006 , artt. 2392 e successivi del Codice Civile) . L’altra novità è che le autorità stanno cercando di chiamare in causa gli individui e non solo le società, coinvolgendo in causa direttamente i singoli con indagini e richieste risarcitorie nei loro confronti, con costi legali enormi per chi è coinvolto. Anche se non si è ancora arrivati alle class action in stile americano, in tutta Europa si assiste a un crescente numero di cause promosse da azionisti contro dirigenti ed amministratori con accuse di malagestio. In conformità al nuovo quadro normativo , pertanto , le società, gli amministratori, il direttore generale e i dirigenti rispondono solidalmente con il proprio patrimonio personale nei confronti di richieste risarcitorie che azionisti, soci, clienti/fornitori, creditori e finanziatori possono esigere per danni patrimoniali. La polizza D&O tiene indenni gli assicurati da richieste di risarcimento avanzate nei loro confronti per danni patrimoniali subiti da terzi a causa di errori, omissioni e/o violazioni degli obblighi a loro imposti da: leggi, statuto, atto costitutivo, regolamenti e specifiche deleghe, purché tali atti non abbiano carattere di natura dolosa ( la polizza copre fino alla colpa grave ) . Con la polizza D&O, l’assicurato – la definizione di Assicurato varia da Compagnia a Compagnia di Assicurazione e pertanto occorre leggere con estrema attenzione le definizioni della Nota Informativa  è indennizzato anche delle spese legali secondo i canoni classici del ramo di responsabilità civile verso terzi nel limite di un sotto massimale di polizza . Per inciso e  giusto per dovere professionale :  la polizza di responsabilità civile degli amministratori (D&O) non rappresenta un “benefit” ma un costo aziendale, totalmente a carico della società contraente . I premi assicurativi D&O non rappresentano un compenso in natura e, conseguentemente, non concorrono a formare il reddito dei beneficiari e ciò per due motivi: 

1- gli eventuali rimborsi corrisposti dalla compagnia non costituiscono per l’amministratore un arricchimento, bensì una semplice reintegrazione del danno patrimoniale subito dal terzo danneggiato; 

2- tali somme rispondono anche ad un interesse del datore di lavoro, che sarebbe altrimenti chiamato a rispondere, direttamente o indirettamente, del danno arrecato dall’amministratore a terzi . 

Chi sono gli Assicurati in polizza 

– In linea generale :   

1. Le persone fisiche che sono state, sono o saranno nominate: l’ Amministratore Unico, il Consigliere di Amministrazione, il membro del Consiglio Direttivo o dell’organismo sociale equivalente, il membro del Consiglio di Sorveglianza e del Consiglio di Gestione, il membro del Comitato di Controllo sulla Gestione, il Revisore Contabile interno, il membro effettivo o supplente del Collegio Sindacale, il Direttore Generale, il Direttore finanziario e , nei paesi a giurisdizione anglosassone , i dirigenti o i dipendenti con deleghe speciali da parte del CdA, gli amministratori di fatto

 

2. Gli eredi e i legali rappresentanti

3. i Coniugi

4. Ogni dipendente passato, presente e futuro in merito a sinistri in materia di lavoro , il dipendente responsabile per D.Lgs. 81, il dipendente responsabile del trattamento dei dati personali (D.Lgs 196/03), l’organismo speciale di vigilanza (D.Lgs 231/01) D&O

 Le polizze di ultima generazione , però , pur mantenendo tutte le garanzie operanti tradizionalmente e senza aumenti di costo,  offrono un più elevato livello di garanzie sia per le persone assicurate sia per la Società. Vengono recepiti tutti i rischi emergenti legati alle modifiche legislative, ad esempio è assicurata una nuova figura e cioè quella del Data Protection Officier – DPO –  . Vantano inoltre un ampliamento della copertura a favore della società mantenendola indenne per:

 risarcimento del danno e spese legali relative alle richieste di risarcimento avanzate nei suoi confronti, oltre ai costi e alle spese direttamente a carico della società (es. spese di comunicazione, di pubbliche relazioni, di mitigazione del danno etc);
 spese connesse alla salute e sicurezza sul lavoro;
 spese connesse a omicidio colposo o lesioni gravi o gravissime;
 costi di difesa relativi a una situazione di inquinamento;
 inadempimenti contrattuali e spese di crisis management che si concretizzano in onorari, costi e spese ragionevoli per consulenti in materia di pubbliche relazioni , incaricati di limitare l’effetto negativo o potenzialmente negativo sulla reputazione di un ente assicurato in relazione ad un evento di crisi;
 controversie nascenti dai rapporti di lavoro. A titolo di esempio possiamo citare controversie relative a mobbing/bossing , licenziamento, demansionamento, stalking, orari di lavoro, ecc..;
 costi relativi alla preparazione di qualsiasi memoria scritta o resoconto ad un’autorità pubblica in connessione con qualsiasi inchiesta preliminare e le attività di preparazione e partecipazione ad un’ investigazione;
 difesa di ciascun assicurato per tutte le richieste di risarcimento per lesioni fisiche e/o danni ai beni.
 costi di emergenza: intendendosi per tali – onorari, costi e spese ragionevoli di esperti riconosciuti ingaggiati attraverso il difensore legale per preparare una perizia, una relazione, una valutazione, una diagnosi o la confutazione di una prova in connessione con la difesa di una richiesta di risarcimento.
 spese per le pubbliche relazioni.

 

La sua validità temporale

La polizza opera in regime di claims-made :  è quindi indispensabile ai fini di una corretta impostazione e validità del contratto che non ci siano in corso o che l’amministratore non sia a conoscenza di eventuali fatti che potrebbero provocare una richiesta di risarcimento a suo carico, o a carico dell’azienda. Nel caso queste ci fossero, saranno d’ufficio escluse dalla portata della garanzia.

Per l’amministratore che termina il proprio incarico, infine, è possibile definire un cosiddetto periodo di osservazione” di run-off per poter comprendere in garanzia eventuali richieste di risarcimento pervenute anche dopo la scadenza contrattuale della polizza ( generalmente la copertura è postuma per cinque anni e l’assicurato – persona fisica uscente – pagando un premio una tantum che spesso coincide con una annualità lorda di premio , si garantisce gli effetti della polizza ) . E’ evidente, dunque, come l’operatività della polizza risulti particolarmente ampia e riesca a soddisfare in un unico testo le esigenze di copertura sia dell’amministratore che della Società stessa, offrendo servizi aggiuntivi ad alto valore come consulenti legali, periti e professionisti in ambito di comunicazione e/o crisi in grado di limitare fortemente le conseguenze economiche.

Il mercato

Il mercato delle polizze D&O in Italia è in crescita continua : i premi lordi, che nel 2012 erano pari a 190 milioni di euro, hanno toccato i 240 nel 2016 per arrivare, si stima, a 255 milioni nel 2020.

I settori che fanno ricorso maggiormente alla copertura sono : 

1- il manifatturiero (89%), 

2- il bancario/finanziario (60%), 

3- il settore del wholesale e retail (59%), 

4- il business services (58%), 

5- quello relativo alle costruzioni (56%) 

6- l’alimentare (42%).

Dati emersi da quelli elaborati da XL Catlin, compagnia di assicurazione e riassicurazione, e presentati all’interno del convegno “Il futuro della D&O, la D&O del futuro” .

Perché viene acquistata e perché non viene acquistata dalle Aziende l’assicurazione D&O

Perché viene acquistata dalle Aziende  E’ stato più volte ribadito che la polizza D&O tutela il patrimonio personale degli amministratori, dirigenti e sindaci delle società dalle richieste di risarcimento avanzate a titolo di risarcimento danni. Per molti anni è stata considerata all’Estero – mentre in Italia era praticamente sconosciuta – alla stregua di una commodity di cui è impensabile fare a meno. Detto questo la polizza  viene sottoscritta principalmente per “prevenire o mitigare il rischio” (52%) e anche perché raccomandata da un broker assicurativo o da un consulente (41%) a tutela dell’assicurato. Nel 39% dei casi viene acquistata sulla spinta della preoccupazione di un fallimento, perché consigliata da un avvocato (34%) o perché ritenuta conveniente (33%).

Perché non viene acquistata dalle Aziende Secondo i dati raccolti da Axor, Finaccord e altri istituti di ricerca, il 33% ritiene che la copertura non sia necessaria perché la Società non è quotata, mentre un altro 33% non ci pensa perché non ha avuto esperienze di sinistri e quindi richieste di risarcimento in passato. Il 30% non ritiene necessaria la polizza D&O perché la loro è una società a conduzione familiare. Chiaramente tali convinzioni nascono dal fatto che non conoscono i veri rischi cui vanno incontro , soprattutto la portata delle sanzioni amministrative ( mai assicurabili ) che in Italia vanno per ogni fatto illecito accertato da un minimo di euro 25.000,00 ad un massimo si euro 1.500.000,00 . 

Le richieste di risarcimento

Negli ultimi 3 anni è stato denunciato un sinistro D&O dal 26% delle aziende. Si è riscontrata una crescitaesponenziale: si è infatti passati dalle 13 del 2000 alle 1.700 del 2014.C’è però da rimarcare che il basso numero di sinistri registrati in Italia  non è indice di un numero basso di procedimenti giudiziari intentati contro i manager , ma riflette la scarsa diffusione della polizza.Tra i sinistri più frequenti riscontriamo le liquidazioni, i fallimenti e altre procedure concorsuali, i procedimenti penali come le violazioni in materia di sicurezza e prevenzione sui luoghi di lavoro e i reati in materia ambientale. Ricorrenti anche i procedimenti dell’autorità di vigilanza e relativi a reati fiscali e tributari.Tali procedimenti investono maggiormente le Banche e gli istituti finanziari, le aziende del settore delle energie, delle telecomunicazioni e le aziende farmaceutiche. Le richieste di risarcimento sono cresciute anche per il proliferare di leggi, non solo in Italia ma anche nel resto del mondo, che hanno posto maggiori responsabilità e doveri in capo ai manager e anche se si avverte una sensibilità crescente da parte delle aziende, come dimostrano i dati di diffusione della polizza, manca però ancora una reale consapevolezza da parte degli amministratori sui veri rischi in cui possono incorrere quali i danni al patrimonio personale , quelli relativi alla reputazione e alla professionalità dei manager stessi fino , le ricadute sul business e sull’immagine dell’azienda.

A quali Compagnie affiderei la mia D&O 

– AIG

– ACE/CHUBB

 ALCUNI SOTTOSCRITTORI DEI LLOYD’S DI LONDRA

– XLCATLIN

– GENERALI ITALIA SPA ( non in delega )

– SRI

– BEAZLEY

– NAVIGATOR

Andrea Santi

Risk Manager

Overform Assicura

L’assicuratore psicologo nel mondo della moda

Come nell’odierna refezione la ricerca ossessiva e frenetica del “fast” produce immancabilmente “junk food”, cibo spazzatura, allo stesso modo la trasformazione del prodotto assicurativo in una sorta di usa-e-getta è all’origine del crescente diffondersi di quanto potremmo definire “junk insurance policies”.

D’altro canto questa è una tendenza generalizzata del processo di mercificazione, insito nella fase di consolidamento del mercato di massa, caratteristico di buona parte del Novecento. Una fase da tempo in via di esaurimento, a fronte dell’emergere di crescenti domande orientate a qualità e personalizzazione; intese quali ragioni prioritarie della propensione all’acquisto a fronte di qualsivoglia offerta. O meglio, la creazione di un secondo mercato, a fianco di quello “fast-junk” dominato dal criterio esclusivo dell’abbattimento dei costi, in cui la domanda si raffina e il prodotto viene valorizzato/impreziosito da una corolla di servizi avanzati. Appunto, la fascia di mercato in cui l’integrazione sinergica prodotto di base – servizi ad hoc, facendo evolvere la “customer satisfaction” in “client loyalty”, determina l’incontro fidelizzato tra una certa offerta qualificata e una certa domanda esigente. Ed è qui che avviene la rivalutazione anche della professione assicurativa; sempre se questa si attrezza a cogliere l’opportunità.

La qualcosa significa predisporre le condizioni per cui il cliente venga indotto a riconoscere nel proprio interlocutore qualcosa di più del semplice venditore di polizze; bensì un vero e proprio consulente.

Potremmo definirlo il proprio “personal risk manager” di fiducia.

Sicché l’assicuratore a misura del Terzo Millennio, oltre che una perfetta conoscenza del proprio settore (sul quale è chiamato a orientare il cliente), deve mettere in campo spiccate attitudini psicologiche. Visto che – come si è già detto altre volte – la definizione del rischio parte sempre da una rappresentazione ansiogena: un fatto percepito e interiorizzato in quanto minaccia. E il nostro risk manager assicurativo, consapevole che il prodotto di qualità è tale se determina al tempo stesso sicurezza (oggettiva) e rassicuramento (soggettivo), deve essere in grado di creare una relazione a base comunicativa in duplice declinazione: “maieutica” (ossia il metodo socratico con cui si aiuta l’interlocutore a mettere ordine nella congerie delle proprie sensazioni) e “razionalizzante” (ossia l’opera scientifica in senso lato, volta a mettere in fila le questioni sull’asse causa/effetti).

Dunque, un’azione sottile e penetrante, attraverso la quale consolidare la fiducia di chi sta prospettando le proprie ansie; che – se coronata da successo – consentirà all’assicuratore psicologo di evolvere da terapeuta (in senso lato) a partner (operativo) del proprio cliente.

D’altro canto, tale evoluzione del rapporto professionale verso una sorta di tacita partnership va ben oltre il caso in questione. Infatti, l’epoca post-fordista, in cui la catena di montaggio di prodotti standard viene sostituita dalle isole in cui si assemblano articoli taylor made, su misura, ridisegna radicalmente e a tutti i livelli i modelli di rapporto tra cliente e fornitori. Nella direzione di cui si è parlato riguardo al caso specifico dell’assicuratore psicologo.

Saverio Zavaglia

Assicurare il lusso

Il recentissimo rapporto – firmato congiuntamente da McKinsey e dal website The Business of Fashion (“The State of Fashion 2017”) – ha fornito i dati, a dir poco “stratosferici”, dei volumi economici che ruotano attorno alla moda: «calcolando il valore generale prodotto dal fashion system globale, si arriva a 2,4 trilioni di dollari, cifra che ne farebbe la settima economia mondiale dopo Stati Uniti, Cina, Unione Europea, Giappone, India e Regno Unito».

In questo costante crescere imprenditoriale del fashion, si assiste a importanti scelte finalizzate alla diversificazione; che – tra l’altro – impongono estrema attenzione alle problematiche del risk management.

In particolare, le cosiddette “multinazionali della moda”, nell’intento di gestire oculatamente la propria politica di marchio, tendono ad allargare la gamma merceologica che da tale marchio può essere trainata. Sicché importanti brand di successo dell’abbigliamento, sono venuti operando efficaci sovrapposizioni d’immagine in altri ambiti, comunque riconducibili alla moda e al lusso; quali la calzatura e l’occhialeria, per arrivare persino alle piastrelle d’arredamento “firmate”.

Tale spinta alla diversificazione produttiva aumenta la complessità della governance d’impresa e può tradursi anche in una perdita di controllo. Inoltre, non sempre aziende concentrate sul proprio core business hanno la giusta percezione del rischio inerente alle proprie royalties – che pure rappresentano di sovente una quota significativa del fatturato – e del danno, da cui potrebbero derivare profonde ripercussioni sull’immagine o sulla reputazione aziendale.

A tale proposito si può notare che la gestione coordinata dell’incertezza del business attraverso strategie assicurative, anche nel caso dell’industria del fashion risponde a due criteri. Uno psicologico e l’altro statistico: “il fronte comune contro la minaccia” e “la scommessa sul rischio”. Nella contrapposizione tra la logica finanziaria “a breve” e quella industriale, orientata al medio-lungo periodo.

Tali distinzioni a parte, osserviamo che attualmente i sinistri coperti dalle polizze assicurative per il settore moda riguardano:

• Danni alle collezioni, compresi quelli durante una sfilata o uno shooting fotografico

• La rete dei fornitori e sub-fornitori, alla luce del crescente orientamento alla delocalizzazione produttiva

• Servizi di gestione e mappatura dei rischi legati ai punti vendita a livello mondiale

• I rischi di mis-labelling, con richiamo delle merci e danni di immagine

• L’interruzione di attività

• La messa a punto di un efficace piano di Business Continuity

• Il monitoraggio regolare e le ispezioni sulle attrezzature e i macchinari per ridurre la possibilità di malfunzionamento o ritardi di produzione

• Le perdite finanziarie e dei costi di ripristino conseguenti a danni ad apparecchiature.

È un nuovo mondo che si apre innanzi tanto all’impresa assicurata come a quella assicurativa. Che richiede a entrambi i contraenti un significativo salto di qualità nella focalizzazione dei ruoli e del rispettivo modo di rapportarsi reciprocamente.

Saverio Zavaglia

Ceo Overform Assicura

www.overform-assicura.it